Ci sono molte possibilità
che Tenemos la carne (2016) possa diventare un cult
sotterraneo pronto a gonfiarsi di bocca in bocca, di blogger in
blogger, e le ragioni non sono tanto rinvenibili nella qualità
artistica che lo permea perché a mio modo di vedere il cinema
è un’altra cosa, quanto nell’anarchia in cui Emiliano
Rocha Minter scaraventa la sua opera di debutto (transitata anche in
Italia al Milano Film Festival) e all’intraprendenza mostrata nel
fottersene di quella razionalità inchiodante per dare sfogo ad
un campionario di pulsioni che ci portano sempre lì: alla fica e al cazzo, e alla necessità di raggiungere quell’ultimo
definitivo orgasmo estasiante (il luciferino padrone di “casa”
eiacula e poi muore), nel mezzo, cioè nella vita: il delirio,
succede di tutto per Rocha: rapporti incestuosi, mestruo schizzato in
bocca, resurrezioni, orge, al regista messicano classe ’90 di
sicuro non piace avere filtri e quello che vuole far vedere te lo
sbatte nelle pupille con tutta una messa in scena low cost che però
sa perturbare, oculata è infatti l’attenzione al reparto
cromatico e a quello sonoro che unendosi creano una congiunzione
autistico-ipnotica capace di proiettare nell’astrazione imperante, il
sottotitolo è: astenersi puristi della narrazione o seguaci
del rigoroso autorialismo, qua vige il caos (“ricorda che il caso è
il peggior criminale che abbia mai camminato sulla terra”), il
nonsense, lo sfoggio di una sessualità dissoluta.
Come un You and the
Night (2013) senza freni inibitori, come un Noé che ha
esagerato con gli acidi, ad Emiliano Rocha, la cui fonte di
ispirazione principale è Zulawski
(e si vede), è stato attribuito il merito di aver fatto un
film “corporale”, d’altronde un titolo del genere e la costante
presenza di attori nudi sul set potrebbe far pensare così, ma
la corporalità nel cinema è modulata da frequenze che
non si sposano granché con una tizia che spompina – con
fallo finto – il fratello (basta vedere un film di Philippe
Grandieux a caso per capire), allora è più ammissibile
parlare di un’illustrazione del corpo all’interno dello
spazio-cinema, e da questa angolazione We Are the Flesh
suscita fascinazione perché è in grado con soltanto tre
interpreti e un’abitazione ristrutturata a mo’ di grotta-ventre a
frullare robe anche altissime, intanto al connubio vita-morte non si
sfugge mai, le quali comunque si subordinano alla voluttuosità
della carne, la carnalità, intesa come stato d’eccitazione
febbrile, quasi animalesco, è la vera ed unica protagonista
dell’opera, e la regressione razionale a cui assistiamo è
pari al turbine psico-lussurioso in cui rinculano i personaggi del
film, e più che intendere la caverna come il grembo di una
donna, questo spazio chiuso e claustrofobico è una
rappresentazione celebrale, è un cranio visto da dentro dove
l’Es scatena i propri incontrollabili stimoli, e nonostante quanto
proposto possa irritare lo spettatore (una recensione negativa su
IMDb lo definisce così: “In my opinion it’s both
shocking and boring, really. Shockingly boring, too” [link]),
va altresì riconosciuto il suo essere anomalia del sistema,
perché essere fastidiosi non è sempre un attributo
deleterio. Tra l’altro gran bel finale che ricorda parecchio quello
di House of Tolerance (2011), altro mind-movie ma più
elegante, e che potrebbe far ricredere sia i suoi detrattori che i
suoi sostenitori, categorie di cui, per la cronaca, faccio parte
senza riuscire a trovare un punto d’equilibrio.
Grazie a Dries che tempo
fa sottopose alla mia attenzione Dentro (2013), primo corto di
Rocha Minter che sicuramente sul versante estetico non c’entra
nulla con Tenemos la carne, su quello semantico, uhm, forse ci
sono dei piccoli collegamenti.
Essere citati da te è sempre un onore anche se io sono un detrattore di tenemos la carne :) dici bene quando sostieni : ''per dare sfogo ad un campionario di pulsioni che ci portano sempre lì: alla fica e al cazzo'' , per me sto film è alla stregua di un qualunque shock movies,( cose a caso per shoccare un pubblico che non lo vedrà mai) solo girato un po'meglio. Mi stupisce che Reygadas abbia contribuito alla produzione O_o
RispondiEliminaquale onore suvvia! Anzi ti sono comunque grato per l'imbeccata perché io pur continuando ad avere molti dubbi, a chi sta leggendo dico: guardatelo! Non so, aldilà dell'esibizionismo e dell'autocompiacimento qualcosa mi ha chiamato, cosa non so bene di preciso, ma meglio che nulla.
RispondiEliminaquello senz'altro, ma penso sia dovuto al fatto che le opere senza senso ( o presunte tali) conservino il fascino dell'oggetto misterioso. Poi Noè Hernandez è mostruoso come attore, la sua presenza luciferina vale la visione
EliminaForse hai ragione, non so... proprio mi viene difficile farmi un'opinione precisa. Credo che un tempo mi sarei esaltato di fronte ad una visione del genere, adesso che invece perseguo altri registri tentenno. Una sola cosa è certa, che adesso me ne vado a dormire e domani sarà un altro giorno :)
RispondiEliminati capisco, provo gli stessi sentimenti contrastanti per Himatsuri di Mitsuo Yanagimachi, un film che a primo impatto ho bocciato ma che continua a girarmi in testa, complice anche un finale stratosferico, se lo hai visto mi piacerebbe sentire il tuo parere :)
EliminaMai sentito! Me lo posso anche segnare, ma probabilmente non riuscirò a vederlo prima della mia prossima vita
Eliminaè un film dell' 85, non dovresti aver problemi a trovarlo
EliminaIo l'ho trovato, in tutta onestà, una porcheria girata da Dio.
RispondiEliminaPerchè porca eva, è uno dei film più autoreferenziali che mi siano mai capitati tra le mani, ma il messicano sa quantomeno come si tiene tra le mani una macchina da presa, e la sa muovere alla grandissima
Bene, vedo che non sono l'unico ad essere compresso nell'antitesi
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