Captive (2012) era
in tutto e per tutto un film di Mendoza nei tratti estetici, in
aggiunta il regista filippino aveva tentato una sorta di operazione
storicizzante con riferimenti a fatti realmente accaduti, il
risultato non era stato granché esaltante poiché la sua
caratteristica principe, ovvero quel catturare la realtà,
veniva un po’ depotenziato da uno scheletro finzionale che si
accartocciava su una narrazione sottotono, praticamente un
susseguirsi di situazioni troppo simili le une alle altre. Nello
stesso anno però il Signor Brillante si presentava in Laguna
con un lavoro a lui più consono, Thy Womb (2012) è
infatti un ritorno nella miseria filippina, un luogo estremamente
concreto, vivo, l’habitat naturale del cinema mendoziano.
Precisando subito che Thy Womb non è quel tipo di film
che incendia l’animo dei cinefili doc, il che, ragionando su
Mendoza alla luce della sua produzione recente e non, mi fa pensare
che qui si parla di una filmografia prescindibile, ad esclusione di
Kinatay (2009) non c’è ancora un titolo degno di
essere ricordato, dicevo: sottolineando i limiti dell’opera sotto
esame, c’è da rimarcare una solidità maggiore del
coetaneo Captive e il motivo lo si può trovare nell’equilibrio che si viene a creare tra dramma sociale e dramma
personale.
Questi punti sono i
cardini che permettono a Thy Womb di muoversi disegnando un
raggio che sa attirare l’attenzione della nostra etica occidentale.
Mendoza bazzica i territori che furono di Foster Child (2007)
realizzando un ipotetico prequel, adesso è il bisogno di una
genitorialità a mettere in moto meccanismi umani e
contestualmente collettivi. Perché è in questo che
Mendoza può essere definito “bravo”, se si fosse
concentrato solo sulle faccende marito/moglie il film si sarebbe
autodistrutto poiché il regista non avrebbe potuto
reggere un cinema prettamente narrativo, per sua fortuna la storia si
fa invadere senza stonature da risvolti etnografici anche non
direttamente collegati alla traccia principale (la lunga scena del
matrimonio), il risultato è una stabilità dalla quale è
possibile desumere informazioni circa la realtà culturale di
quella zona delle filippine, e c’è un minimo di cui
interessarsi perché abbiamo la possibilità di
confrontarci con pratiche religiose e culturali lontane dalle nostre
e che Mendoza, fedele alla propria visione di Verità, non
stigmatizza né condanna. Si assiste piuttosto increduli alla
compravendita di donne le cui uniche funzioni saranno quelle
gestative, al pari delle cerimonie arcaiche che sanciscono i
matrimoni o delle trattative precedenti ad essi. In parallelo si
sviluppa il mondo interiore della moglie (il paradosso è che
una specie di ostetrica non può avere figli) che Mendoza
raccoglie e ritrasmette con grande dignità femminea, e perfino
durante il finale!, dove dentro a quello strano quartetto famigliare
è l’unica che abbozza un sorriso.
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