Do voce ad un film
italiano sommerso, dotato di quella clandestinità che oggi,
diciassette anni dopo, trasuda dal rippaggio di un VHS: è
inevitabilmente un film dimenticato Il mnemonista (2000),
probabilmente mai visto, ed è paradossale proprio perché
ciò su cui si concentra è esattamente la memoria:
l’esperire ed il ricordare, qui portato all’acme di ogni
possibile processo: S., Sandro Lombardi colonna fantasmatica del
film, è schiacciato dal continuo sbocciare di reminescenze
fino ad ingarbugliare i piani della realtà e
dell’immaginazione, “il tempo scorre e confonde” dice una
scritta su un muro distrutto poco dopo, e l’andamento dell’opera
segue questa scia. Perché sì che siamo di fronte ad un
cinema narrativo, ma è anche vero che la narrazione è
dinamitata da lampi e deviazioni che annullano la progressione degli
eventi, il tempo filmico in sostanza non ha un percorso lineare e lo
si afferra da rapidi accadimenti come quando il dottore riceve una
cartolina che sembra giungere dal “futuro”, o come quando nello
spazio di qualche frame si dice siano passati anni ed anni nei quali
S. ha cambiato molti lavori, la dimensione labirintica dell’opera
diventa allora la puntuale simmetria del cervello dell’uomo, senza
coordinate non si può fare altro che abbandonarsi all’avanzare delle immagini.
Paolo Rosa, deceduto nel
2013 e padre fondatore del collettivo avanguardistico Studio Azzurro
di Milano, restituisce ai nostri occhi quanto detto sopra attraverso
un fluire ricolmo di accenti che ingioiellano la pellicola e la
rendono un oggetto dagli echi sperimentali, sicuramente dotata di
un’identità forte che l’ha fatta distinguere ma, vista la
sua misconoscenza, anche lentamente estinguere. Scelte intriganti
come i minuti iniziali col monologo di S. poi decostruito con
l’inizio del film, flashback arricchenti che piacerebbero parecchio
al primo Julio Medem, e in generale il procedimento che esplica
cinematograficamente il meccanismo mentale del ricordo da parte di S.
con le sue associazioni eidetiche, veri strappi, fenditure, pozzi
fantasiosi, rendono Il mnemonista un film che nel farsi
inizialmente campo di studio psicologico e linguistico sa evolversi
in un impeto surreale che non è impeto, ma sussurro vitale di
un cinema interrato.
Davanti alla mdp Roberto
Herlitzka e Sonia Bergamasco, dietro anche Martina Parenti (Il castello [2011] e Materia oscura [2013]).
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