Cinque anni dopo Attenberg (2010), sei dopo Dogtooth (2009), e di cose
per Athina Rachel Tsangari ne devono essere accadute parecchie: ha
visto, prima di ogni cosa, il consolidarsi di un movimento artistico
che ha impressionato molti cinefili del globo, successivamente alla
spinta artistica è subentrata una fase di inevitabile rinculo
figlia, tra le altre cose, del proliferare di film-fotocopia che non
hanno saputo far evolvere il discorso greco, infine con Chevalier
(2015) la regista-produttrice è giunta ad una ritrazione che sa di ratifica: la new
wave ellenica sta diventando una bassa marea che nemmeno l’influenza
gravitazionale di quattro lune riuscirà a sollevare, e
probabilmente è anche giusto che la cosa si sgonfi, che assuma
altre forme, che si affacci in altri contesti (vedi The Lobster,
2015). Si può anche stare ad esaminare il lavoro della
Tsangari trovandovi segnali di stile et collegamenti ad altre opere
recenti della medesima cerchia, fatelo pure se avete tempo da
perdere, alla fine convergerete comunque in un unico punto: Chevalier
è un film che non sa colpire lo spettatore se non in termini
di noia derivante da un’inaspettata assenza di un qualcosa che
possa irrobustire la sezione “significati” al di là di
quello che si intuisce immediatamente (la competizione c’è
già dall’inizio nella foto di gruppo dopo la battuta di
pesca).
In generale sono
d’accordo con il pensiero di Nicola Settis (link) che sostiene:
“alla fine il film parla di una gara a chi è il migliore e
non narra altro che questa gara, questo giochino, senza neanche fare
una vera e propria analisi sociologica ma anzi cercando una specie di
stupida morale ricavata con divertimento e leggerezza”. È
esattamente così, e aggiungo: non era neanche indispensabile
un approfondimento sociale o psicologico dei soggetti in scena, ma a
‘sto punto sarebbe stato meglio del vicino-niente a cui la Tsangari
è arrivata. Il fatto è che mai come questa volta il
metodo alieno e distaccato del recente cinema greco infiacchisce
paurosamente la proiezione desertificando il gusto di poter accedere
all’interno dell’opera. Se ad esempio nei film di Lanthimos
l’ironia ha spesso avuto una forte componente caustica, qui i toni
comici sono banalmente tali e risulta davvero difficile recepire la
loro funzionalità, per chi scrive non è stato affatto
appagante vedere un sestetto di uomini che su uno yacht-palcoscenico
fa cose stupide in un susseguirsi di sketch filtrati da una
pseudo-autorialità, non bastano alcune timide intuizioni che
richiamano al fallocentrismo imperante (la locandina con il timone
penedotato è esemplare) o all’idiozia adulta che non si è
mai scrollata via l’età dell’adolescenza (il patto di
sangue in stile boy-scout), è che latita quel mordente che
sempre cerchiamo, quella fusione tra il dire e il significato
soggiacente che in un film narrativo dovrebbe perlomeno toccarci.
Ma come detto all’inizio
è plausibile che la Tsangari stia sondando altri contenitori
per proporre il suo cinema e quello della commedia, visti i
precedenti, poteva essere una buona variazione. Poteva. La realtà
delle cose, come sempre insindacabile, ci serve nel piatto il
surrogato di una settima arte depotenziata della risaputa carica
detonante, il precipitato che si deposita di certo non fa deflagrare
granché poiché sull’imbecillità della
categoria maschile si sapeva già “qualcosina” e il
ripensare di aver assistito alla sequenza dei banali siparietti in
Chevalier mi toglie la voglia di scrivere. Quindi: antío.
Ciao, bella recensione.
RispondiEliminaDove si può recuperare il fim?
https://www.opensubtitles.org/en/subtitles/6761833/chevalier-en
RispondiEliminaAl link trovi i sottotitoli inglesi e tutte le varie versioni del film rintracciabili in rete.