Storia di una gabbianella che vola via dal nido.
È bastato un film come Dogtooth (2009) a far decollare, letteralmente fino agli Oscar, un ragazzone barbuto di nome Yorgos Lanthimos, e quindi a spalancare il sipario su una scena, quella greca, che dal punto di vista cinematografico negli ultimi 10-15 anni aveva lasciato Angelopoulos (e chi altri?) come unico esponente di rilievo. Così, al fianco del già citato Lanthimos qui nelle vesti di attore e produttore, a Venezia ’10 si è presentata tal Athina Rachel Tsangari, a sua volta produttrice dei film dell’amico Giorgos, che con questo Attenberg attira nuovamente curiosità, e penso anche stima, sul palcoscenico ellenico.
È bastato un film come Dogtooth (2009) a far decollare, letteralmente fino agli Oscar, un ragazzone barbuto di nome Yorgos Lanthimos, e quindi a spalancare il sipario su una scena, quella greca, che dal punto di vista cinematografico negli ultimi 10-15 anni aveva lasciato Angelopoulos (e chi altri?) come unico esponente di rilievo. Così, al fianco del già citato Lanthimos qui nelle vesti di attore e produttore, a Venezia ’10 si è presentata tal Athina Rachel Tsangari, a sua volta produttrice dei film dell’amico Giorgos, che con questo Attenberg attira nuovamente curiosità, e penso anche stima, sul palcoscenico ellenico.
Attenberg è un’opera adibita alla provocazione che scivola volutamente su parodistiche macchie(tte) d’olio (l’incipit con le lezioni di bacio) mostrando indifferenza, noncuranza, nei confronti dello spettatore che si trova di fronte ad una recitazione con prosopopea, enfatizzata in ogni minimo gesto, straparlata (il pingpong lessicale col padre), snaturata (un dialogo che termina nell’imitazione di alcuni animali), decontestualizzata (perché fanno così? È la domanda che si ripropone più e più volte), il tutto porta ad una ridicolizzazione dei personaggi che però non si trasforma mai (MAI!) in comicità scherno o derisione poiché l’atmosfera sebbene ovattata da tali elementi è plumbea, e tale grevità oltre ad essere trasmessa dall’impianto industriale della cittadina (nei fatti Aspra Spitia, luogo natio della regista), è essenzialmente un fattore tecnico poiché la mano della Tsangari si fa algida con i suoi lenti e ammirevoli carrelli che seguono o precedono le due amiche.
Gli ambienti poi spiccano per le loro tonalità chiare lise sorprendentemente dalla ripresa frontale del padre moribondo nel buio della camera. A ciò si aggiungono sequenze che si prendono tempi del tutto propri, come la scena del petting tra l’ingegnere e Marina che si sofferma su strambi dettagli facilmente bypassabili da altri regist(r)i e annesso, pregevole, svelamento di campo, o i siparietti imperscrutabili (forse non troppo) tra le due ragazze che regalano, tra le altre cose, un long-take canterino memorabile (video).
In un paesaggio dipinto in modo quantomeno luna…tico, ecco che si palesa un essere, una forma di vita inerte: Marina, ipocentro post-adolescenziale, che racchiude in sé tutta quella caducità della non-vita: apatia, asessualità, abulia, amoralità, e rinchiusa, per suo volere, in un limbo lontano fatto di documentari televisivi. E vicino al burrone della morte paterna si trova a dover volare per non precipitare anch’essa. Le scapole, in fondo, non sono altro che delle ali mozzate. Attenberg è qui, in questa scoperta di cosa c’è oltre il proprio mondo, oltre il proprio corpo, è l’imprevedibilità dell’incontro, di camminare senza un’amica affianco, è un percorso, è uscire allo scoperto, emanciparsi, liberarsi, non c’è nessun padre dispotico come in Kynodontas a intrappolare la vita di questa ragazza, la gabbia che la imprigiona se l’è costruita lei. Marina e il suo nido ripreso in un documentario sull’uomo. Attenberg è crescita, e quelle lacrime trattenute a stento sulla barca da parte della protagonista ci fanno capire che sì, lei è cresciuta, e da quel campo lungo conclusivo può andare via da sola.
Gli ambienti poi spiccano per le loro tonalità chiare lise sorprendentemente dalla ripresa frontale del padre moribondo nel buio della camera. A ciò si aggiungono sequenze che si prendono tempi del tutto propri, come la scena del petting tra l’ingegnere e Marina che si sofferma su strambi dettagli facilmente bypassabili da altri regist(r)i e annesso, pregevole, svelamento di campo, o i siparietti imperscrutabili (forse non troppo) tra le due ragazze che regalano, tra le altre cose, un long-take canterino memorabile (video).
In un paesaggio dipinto in modo quantomeno luna…tico, ecco che si palesa un essere, una forma di vita inerte: Marina, ipocentro post-adolescenziale, che racchiude in sé tutta quella caducità della non-vita: apatia, asessualità, abulia, amoralità, e rinchiusa, per suo volere, in un limbo lontano fatto di documentari televisivi. E vicino al burrone della morte paterna si trova a dover volare per non precipitare anch’essa. Le scapole, in fondo, non sono altro che delle ali mozzate. Attenberg è qui, in questa scoperta di cosa c’è oltre il proprio mondo, oltre il proprio corpo, è l’imprevedibilità dell’incontro, di camminare senza un’amica affianco, è un percorso, è uscire allo scoperto, emanciparsi, liberarsi, non c’è nessun padre dispotico come in Kynodontas a intrappolare la vita di questa ragazza, la gabbia che la imprigiona se l’è costruita lei. Marina e il suo nido ripreso in un documentario sull’uomo. Attenberg è crescita, e quelle lacrime trattenute a stento sulla barca da parte della protagonista ci fanno capire che sì, lei è cresciuta, e da quel campo lungo conclusivo può andare via da sola.
Dogtooth mi disturbò profondamente, ma di certo si trattò di una visione rivoluzionaria.
RispondiEliminaDirei che a questo punto questo va sperimentato.
mi ha sempre incuriosito! L'attrice Ariane Labed ha vinto la coppa volpi per questo film.
RispondiEliminaAttenberg dividerà.
RispondiEliminasei sempre foriero di chicche succulente...l'unico problema spesso è come procurarsele visto che non sono un pescatore da torrenti...come diventarlo?
RispondiEliminaImmenso blog per cinefili incalliti!
inutile dire che questo film incuriosisce parecchio, specie dopo i riferimenti a Kynodonthas.
RispondiEliminaancora non mi sono deciso, ma sono sicuro che lo proverò. :)
Sei matto Zone a dirmi 'ste cose? Poi mi monto la testa! Ad ogni modo diventare un pescatore è semplicissimo, si tratta di un comunissimo programma come molti altri, se ti va scrivimi una mail che ti spiego. :)
RispondiEliminaAttenberg è un film che dividerà perché sono sicuro che molti guardandolo penseranno di essere di fronte ad una presa per il culo, mentre altri (tipo me) lo giudicheranno perlomeno interessante. Non so quanto possa valere la mia opinione Einzi, ma ricordo quella di Ghezzi e lui disse che era un buonissimo film, se questo può bastare...
qualcuno sa dirmi dove si trovano i subs italiani?
RispondiEliminaTemo che non esistano :|
RispondiEliminaVisto, indubbiamente girato con grazia, ma timido nella sostanza. Manca il pathos, negli ultimi minuti del film, che probabilmente sarebbero dovuti essere importanti per il percorso della protagonista. La perdita del padre è raccontata davvero con stucchevolezza. L'intenzione non poteva essere sicuramente drammatica, ma risulta addirittura banale proprio in corrispondenza dello sviluppo alienante del film.
RispondiEliminaEfficace il momento in cui la protagonista si concede all'uomo conosciuto al bar... ma questo la rifiuta, dietro quel rifiuto si scioglie qualcosa.
Ma a parte questi momenti che ci riportano a una dimensione "sorprendentemente" umana, il resto si disperde proprio quando il film comincia ad appoggiarsi a un unico filo narrativo, quello del padre come già detto.
Credo, anzi ne sono sicuro, che l'assenza di quello che definisci pathos sia un aspetto assolutamente voluto, d'altronde tutta questa corrente greca fa della freddezza alienante il proprio marchio di fabbrica. Comunque, non l'hai gradito il percorso evolutivo della protagonista? Il film è lì secondo me, ed anche gli altri affluenti (compresa la morte del padre che non ricordo così malvagia) perdono d'importanza al cospetto della crescita formativa di Marina che per me dal punto di vista del come è raccontata centra l'obiettivo perché per tutto il film sembra parlare di vagonate di bislaccherie ma che poi inevec ripensandoci bene il tutto sa assumere una direzione ben più logica che tra l'altro si ricollega a Kynodontas.
RispondiEliminaper pathos non mi riferisco alla ricerca dell'emozione, ma ad un'intensità che ci riporta comunque al simbolo, la capacità di dire qualcosa dicendo qualcos'altro, credo che in lanthimos di questo ce ne sia abbastanza. La danza sgrammatica in Kynodontas o la morbosità in Alps hanno una forza straordinaria. Le immagini acquistano vita ad un certo punto.
RispondiEliminaIn Attenberg manca quella forza, non riesce a sorprendere più di quanto vorrebbe, sembra più una ricerca intellettuale ad un certo punto, c'è un anticonformismo fastidioso di fondo, che si riflette anche nell'estetica: il ballo isterico della protagonista durante la scena notturna in ospedale, le lunghe passeggiate "primitive" delle due amiche. Scelte che ho trovato insulse.
Il percorso della protagonista rimane interessante, ma non mi è sembrato schiuso a 360 gradi.
ah sì chiaro, ho travisato il significato di pathos senza ragionare. E' che questa corrente greca si esprime così e c'è poco da fare, la navigazione nelle acque dell'assurdo può provocare reazioni contrastanti, la Tsangari (ma anche Lanthimos) cammina effettivamente sul filo del rasoio, ma per me non cade, pur ammettendo che l'anticonformismo di cui parli in alcuni frangenti appare fine a se stesso.
RispondiEliminaCoincidenza vuole che qualche giorno fa ho visto L, diretto da un esordiente ma sceneggiato dallo stesso autore di Kynodontas e Alpeis. Ecco, questo sì che è un film in cui le scelte insulse non mancano.
interessante il vostro commentarium, mi trovo spesso d'accordo con j.doinel.
RispondiEliminaquesta nuova grecia fa quasi paura come l'austria,ma è più algida.la crescita in spessore e l'educazione sentimentale della protagonista meritano una visione aldilà delle scelte estetico-narrative.anche se a me in fondo,non dispiace perfino quello che puzza di voluto anticonformismo.
rispetto a kynod questa sembra più inficiabile di disonestà intellettuale in quanto più incline al comico, mentre kynod è sempre una riga oltre il tragico e il terrore.
la scena iniziale di baci e i pas de duex delle amiche, sono sempre sull'orlo di una comicità che si ammanta di gravità e non sfocia mai in una vera risata,che dico, gridolino scimmiesco.viste tutte le grecità a distanza di poco tempo tra loro, questa attenberg può essere portata come antipasto alle opere di lanthimos.
Le grecità.
RispondiElimina(non aggiungo altro, a parte un altro titolo che vorrei vedeste: Mesa sto dasos. Non fa parte di questo filone lanthimosiano, è di tutt'altra pasta. Sicuramente più scadente. Ma mi ha dato da pensare. E molto.)