Frutto di sei mesi di riprese nell’omonima cittadina del titolo situata nel Galles meridionale, Swansea Love Story (2009), trasmesso nel Febbraio del 2010 sulla rete americana VBS.tv, è un documentario esapartito diretto dal duo Leo Leigh (figlio del famoso Mike) ed Andy Capper. L’opera ritrae senza veli la realtà di alcuni giovani eroinomani gallesi, dice Capper a proposito: “volevamo mostrare com’era vivere in strada, sotto la morsa dell’eroina, il più realisticamente possibile.” E in effetti più di così non si poteva fare perché la camera digitale dell’operatore riprende i protagonisti alle prese con le loro dosi giornaliere nei minimi dettagli; la meticolosa preparazione: il laccio, l’accendino, il cucchiaio, l’ago che scivola nella vena. Il rito lisergico propaga disfacimento a ritmo incessante, le statistiche dell’incipit dicono che negli ultimi quattro anni a Swansea si è registrato un incremento del 180% riguardante l’uso di eroina. Ne consegue che buona parte dei giovani del posto ha problemi serissimi, praticamente irrisolvibili, con la droga, e da quanto si evince grazie alle testimonianze – agghiaccianti – tali problemi erano i medesimi dei propri genitori, creando così un circolo letale da cui non si vede via d’uscita.
Il dolore spettatoriale al di là delle iniezioni autosomministrate oculatamente esposte, sta nel fatto che i vari ragazzi si raccontano e si mostrano all’obiettivo senza alcun risentimento verso se stessi o verso chi li ha fatti iniziare. Sono apatici, vuoti, paurosamente disumani, la loro vita è un ossimoro poiché vivono in funzione della roba, e quindi della morte. Non si curano del fatto che la propria esistenza si sta sgretolando siringa dopo siringa, non si curano, nemmeno, di nascondersi di fronte al “cinema”, di avere un minimo di pudore, no, nei loro occhi si legge tutto un mondo parallelo, e questo fa malissimo, sul serio.
Oltre alle varie storie personali che fanno sembrare robetta per poppanti i libri di Palahniuk, e all’amore tossico fra due giovani che fa da filo conduttore, l’istantanea emblematica ci viene fornita con un tizio che nel silenzio notturno caracolla da un marciapiede all’altro della strada deserta come uno zombi, l’immagine sembra suggerire di quanto la chiave di lettura adeguata veda Swansea Love Story non come un documentario ma come un horror che fuor di metafora squaderna l’inabissarsi della nostra società.
Il dolore spettatoriale al di là delle iniezioni autosomministrate oculatamente esposte, sta nel fatto che i vari ragazzi si raccontano e si mostrano all’obiettivo senza alcun risentimento verso se stessi o verso chi li ha fatti iniziare. Sono apatici, vuoti, paurosamente disumani, la loro vita è un ossimoro poiché vivono in funzione della roba, e quindi della morte. Non si curano del fatto che la propria esistenza si sta sgretolando siringa dopo siringa, non si curano, nemmeno, di nascondersi di fronte al “cinema”, di avere un minimo di pudore, no, nei loro occhi si legge tutto un mondo parallelo, e questo fa malissimo, sul serio.
Oltre alle varie storie personali che fanno sembrare robetta per poppanti i libri di Palahniuk, e all’amore tossico fra due giovani che fa da filo conduttore, l’istantanea emblematica ci viene fornita con un tizio che nel silenzio notturno caracolla da un marciapiede all’altro della strada deserta come uno zombi, l’immagine sembra suggerire di quanto la chiave di lettura adeguata veda Swansea Love Story non come un documentario ma come un horror che fuor di metafora squaderna l’inabissarsi della nostra società.
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