mercoledì 4 gennaio 2017

Sevilla

Coppia + amico si dà all’on the road direzione Siviglia. Non ritorneranno in tre.

Si allontanino immediatamente gli infaticabili cercatori di Visioni, Sevilla (2012) non merita il vostro sguardo data l’evidente pochezza di cui è costituito. La tabula rasa di questo corto olandese fa da pista di decollo verso l’assenza di un senso protesico, finito di essere non abbiamo ricevuto niente, al di là del banale senso immediato, quello che soggiace alle dinamiche narrative, c’è l’indescrivibiltà del nulla, tanto vale allora rimanere nella barricata di La Palice e dire che: Sevilla procede strutturalmente fondendo episodi di un passato con l’attualità del presente, il dialogo tra le due dimensioni è rimarcato da accorgimenti stravisti (lei adesso ha i capelli corti e sempre adesso l’atmosfera è plumbea) che non riescono a rendere la porzione del trascorso nemmeno uno sbiadito album dei ricordi. Quello che doveva essere il rappresentante di un’elaborazione luttuosa non può che infossarsi in una scialba sagoma di cinemino perché, di base, non utilizza i codici necessari per incidere l’intimità della perdita definitiva, troppo istantaneo l’apparato di questo film per poter avere una vita fuori dalla sua piccola cornice.

Si poteva supporre che fossimo dinanzi ad un’opera prima, ed uno spirito un po’giovanilistico in qualche modo era capace di rafforzare l’ipotesi, ma andando a leggere il curriculum di Bram Schouw si evince di come Sevilla sia soltanto un tassello di una carriera cominciata già nel 2005. Se in sette anni Schouw è arrivato qua, in una zona di ordinario p(i)attume, allora è meglio agitare il palmo della mano e fare ciaociao Bram.

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