È compito più complicato del previsto
quello di scrivere qualcosa su un film come Yo, también (2009).
Al di là della veste lineare che lo costituisce persistono a monte dei
nodi che si tenteranno di sciogliere in questo scritto, nodi che
riguardano in stretta sintesi lo strato ideologico su cui si fonda la
pellicola, in breve: concentrare un film sulla storia d’amore
(impossibile) tra un ragazzo down e una donna adulta non rischia di
calamitare su di sé un facile pietismo ad un passo dal bieco
patetismo?
Eppure l’incipit allontana, o
vorrebbe farlo, l’idea che questa sia una lezioncina
sull’integrazione. Nelle parole di Daniel, primo laureato con un
cromosoma in più, sono infatti racchiusi alcuni dei pregiudizi
sociali, riguardanti i diversamente abili, enucleati attraverso la
bella metafora del corpo. Siamo persone dice Daniel al comizio, e
i due registi (esordienti) con questo prologo è come se dicessero
che ok, qui si parla di piccole emarginazioni ma i discorsi dei
politici e l’aria fritta dei benpensanti non avranno molto spazio
da queste parti. Raccogliamo l’indicazione e andiamo
avanti.
A dispetto di questo suggerimento è
però evidente più o meno da subito che l’argomento in questione è
un terreno minato in cui per districarsi bisogna possedere doti da
contorsionista. E gli autori ci provano, senza dubbio,
aiutati da un protagonista (Pablo Pineda, attore ma anche insegnante)
con cui è inevitabile entrare in sintonia: i filmati porno nascosti
in una cartella insospettabile, i sogni erotici, le confessioni col
fratello maggiore, il cuoricino disegnato con la crema abbronzante
sulla schiena di Laura, o più direttamente la sua espressione
imbronciata, la camminata caracollante, la vitalità intellettuale,
insomma il sentimento di benevolenza nei suoi confronti è pressoché
automatico. Ma la sensazione che si cerca sempre di mettere a tacere
è che uno di quei nodi da sciogliere sia proprio Daniel. Almeno due
sono le domande: l’empatia immediata non si deve più per quello
che il 34enne è piuttosto che per quello che fa? E
allora Naharro e Pastor non commettono un banale atto improntato alla
commiserazione? Come vedete non è facile, anche perché
durante la pellicola si cerca sempre di scacciare l’idea che i
portatori di handicap debbano essere considerati come scontato
oggetto di compassione, bebè un po’ cresciuti dal cordone
ombelicale mai reciso.
Ovvio che il carico da 11 viene buttato
sul tavolo con la storia d’”amore” che, è facile predirlo,
avrà molte spine e pochissime rose. Nuovamente, e ancor più
marcatamente, il rischio è quello di far leva su dei preconcetti
standardizza(n)ti, il più ovvio e pericoloso è quello che
suggerisce di come le persone disabili sotto certi aspetti siano
migliori delle persone “normali”. Anche in tale frangente si
lavora per allontanare siffatta impressione viaggiando su ritmi
frizzantini e accostando alla coppia principale una liaison
parallela che sottolinea ed amplifica il discorso. La riuscita delle
varie situazioni rimane in un limbo a causa di una presentazione di
Laura molto stereotipata nel ruolo di mangiatrice di uomini così
come è stereotipato il suo percorso dall’insensibilità a qualcosa
che si avvicina al Sentimento (non tanto verso Daniel ma verso se
stessa, e la visita al padre morente è un’azione orientata in
questo senso), tuttavia la misura, il tatto e l’accortezza riescono
a plasmare scenette di umanità confortante, il che allieta un poco.
Consci degli ostacoli che un progetto
del genere contempla, i registi si impegnano dall’inizio alla fine
nel tentativo di aggirarli (“non ci potrà essere niente tra noi, questo è solo un giorno
felice”). Il risultato globale non deve essere
offuscato dalla tenera patina che lo avvolge perché gli ingranaggi
che muovono il tutto, per cause anche extra-filmiche, scricchiolano
un pochino.
un film eccezionale, senza pietismi e luoghi comuni.
RispondiEliminacome dici tu, gli autori riescono a non scadere e bisogna essergliene grati, l'argomento è un terreno minato e il percorso è quasi netto
(http://www.youtube.com/watch?v=fDkd_m87mzQ)
Oddio, diciamo che i registi si impegnano nell'evitare di scadere nella banalità, però non credo ci riescano sempre.
RispondiEliminaE' che vorrei vedere un film dove la disabilità non venga trattata sempre nel medesimo modo (ovvero: lezioncina su come "loro" siano migliori di "noi"), e in questo film, anche se ripeto si tenta sempre di evitare ciò, alla fin fine un po' ci si inciampa.
Non lo consocevo e non ne avevo nemmeno sentito parlare. Ti ringrazio per averlo proposto perché mi sembra decisamente interessante, anche se pericolosamente ruffiano.
RispondiEliminaTi rispondo al volo Maria: se ti interessa l'argomento allora è da vedere.
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