Persa la mamma, Jacobo, proprietario di una piccola fabbrica di calzini, inscena agli occhi del fratello Herman, giunto dal Brasile per il funerale, un finto matrimonio con la fedele aiutante Marta.
Mirco-catene di montaggio; due sono le piste percorribili, la monotonia del lavoro, degli orari, dei gesti (il buongiorno alle dipendenti, il bottone d’avviamento, il saluto della sera), e la relativa routine esistenziale, scandita ugualmente, ma da episodi fuori campo facilmente intuibili: la casa di un uomo solo accende l’immaginazione.
In questo film uruguayano diretto a 4 mani la felice tendenza è quella di ridurre, di attuare un processo di suggerimento, praticamente un bisbiglio, anche e soprattutto visivo. La ripetizione è il carburante che silenziosamente macina la stradina di campagna, con poche informazioni ci viene delineata la solitudine à la Tsai Ming-liang di due persone che non hanno più molto da chiedere, sia alla vita che a se stessi, così le relazioni umane sono ingessate e canonizzate dai ritmi lavorativi e scorrono in un tran tran non dissimile dalla macchina che produce calze.
L’inceppamento del meccanismo è rappresentato dal fratello Herman, colui che, semplicemente, porta colore (i calzini) e obbliga alla finzione coniugale Jacobo e Marta. I registi irrorano di complicità lo spartito dando del tu allo spettatore che assiste a riuscite situazioni di imbarazzo da parte della finta coppia, la quale si trova alle prese con eventi complicati per chi fino a quel momento ha sempre vissuto da solo. Coricarsi, mangiare, passeggiare insieme, ma anche mentire su un viaggio di nozze che non c’è mai stato o sorridere di fronte ad una macchina fotografica (da qui deriva il titolo: il “whisky” come il nostro “cheese”). L’unione fittizia è però soltanto un guscio che schiudendosi espone piccoli giganteschi problemi, gli stessi di sempre che un matrimonio solo fotografato esacerba con l’incontro di un uomo vivo, dentro.
Attraverso una narrazione che abilmente lascia negli interstizi invisibili i fatti salienti (è successo qualcosa tra Marta ed Herman?) e una regia che calcola con precisione la sua anti-dinamicità, Whisky (2004) è uno di quegli esemplari di cinema a cui una cassa di risonanza non farebbe comodo, la sua natura ristretta allontana da sé sproloqui e proclami preferendo umanamente il canale del dialogo intimo.
Vincitore di una marea di premi (Cannes e Goya su tutti) e perfino con una distribuzione in terra nostrana, Whisky è una pellicola, come direbbe Marta, muy linda, o più sinceramente una pellicola che, in fondo, fa davvero piacere che esista.
l'ho visto qualche anno fa e lo ricordo come molto bello, triste, ma
RispondiEliminadavvero una visione interessante
Validissimo anche il piccolo - se possibile ancora più piccolo di questo - film d'esordio: 25 Watts.
RispondiEliminame lo segno subito!
RispondiEliminace l'avevo, ho provato in spagnolo, un po' tosto, ho trovato sottotitoli e a breve ti dirò
RispondiEliminaSì anche se non so lo spagnolo quando vedo un film ispanico qualcosa intuisco, qui zero, si vede che l'accento uruguayano ne modifica un po' i suoni, però c'è anche da dire che la copia rinvenibile in rete, o almeno quella che ho rinvenuto io, ha un audio pessimo. Sottotitoli obbligatori.
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