domenica 9 agosto 2020

Permanências

Chissà dove ci troviamo in Permanências (2011), probabilmente in una città della regione natia di Ricardo Alves Jr., Minas Gerais, ma potenzialmente potremmo esse ovunque: a Napoli, a San Pietroburgo, a Buenos Aires, questo perché lo spazio fisico catturato dal giovane regista brasiliano è uno spazio senza connotati geografici a parte l’idioma portoghese biascicato dalle persone in cui il cinema, per una mezz’oretta, diventa la loro vita poiché è la vita di essi, noiosa, vuota, triste, irriferibile davanti alla camera che diventa cinema. Ma, come si usa dire, a volte le parole non servono e quello che si legge negli occhi lucidi di un primo piano, nei tiri di una sigaretta di fronte ad uno spiraglio al di là del cemento o banalmente in un muro scrostato o in una vecchia foto incartapecorita su uno scaffale, è sufficiente a colmare una stasi che si prolunga di quadro in quadro, un’inazione dove non accade niente se non il fluire monotono dell’esistenza. I lacerti che compongono Permanências si riconducono, tutti, ad un’impressione generale di profonda desolazione, è una rassegna di derelitti che con invidiabile naturalezza si cala nella faglia del reale tra l’emarginazione di Pedro Costa ed il grigiore urbano di João Salaviza ma con una cifra contemplativa spiccatamente personale.

Il corto successivo, Tremor (2013), sarà forse un oggetto più raffinato rispetto a quello sotto esame, il quale, comunque, tramite la sua messa in sequenza di piani esclusivamente fissi racchiusi tra due esibizioni al piano (quella d’apertura è più dolce e melodica, la chiusura è invece più synthetica e nervosa), opera con discreta efficacia nel campo dell’avvertibile, in un certo senso è quasi bello accedere in mondi del genere (accedere è un’esagerazione, carpiamo, intuiamo, intravediamo) pur avendo pochissimi elementi a disposizione. Un cinema che gira al minimo e che è ridotto all’osso in ogni componente si dimostra comunque fertile, avvolto da una ricchezza invisibile ai più, trapelante di emozioni e sentimenti sebbene pathos ed eros a prima vista non trovino asilo al suo interno, ma la “prima vista” è spesso fallace: “ho avuto poche relazioni. Ero disoccupato a quel tempo e pensavo: non le farò sprecare il suo tempo, lei può fare meglio, non le farò sprecare il suo tempo. Così l’ho mollata senza dirle il perché. È solo che ero disoccupato, così ho rotto.”

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