martedì 25 agosto 2020

A Espada e a Rosa

João Nicolau, ovvero uno dei tanti professionisti che negli ultimi lustri hanno fatto assurgere il cinema autoriale portoghese ad ipocentro del cinema autoriale europeo. Principalmente montatore, lo è stato per assi come Monteiro e Gomes (senza scordare le reciproche collaborazioni con il nostro Alessandro Comodin che vanno avanti da anni), ma anche attore per piccole parti di alcune produzioni lusitane recenti, oltre che direttore della fotografia e ovviamente regista, Nicolau esordisce nel lungometraggio proprio con A Espada e a Rosa (2010), film presentato a Venezia dalla cospicua durata (quasi due ore e mezza) che ha scoraggiato e scoraggerà chi ha intenzione di avvicinarvisi, del resto qui si ritrovano dei connotati sì e no tipici che certo cinema proveniente dal Portogallo ha proposto dagli anni ’10 in poi (Gomes ma anche molto di Abrantes), solo che, trattandosi di un debutto, è plausibile che il sovraccarico “da esordiente” di tematiche e approcci possa trasformarsi per lo spettatore non avvezzo a manifestazioni di tale portata in una fantasia surreale un po’ confusa e arrovellata su se stessa. Chi scrive ha gradito parecchio la vitalità che serpeggia nella pellicola, basta il divertente siparietto canoro tra Manuel e l’esattore delle tasse a farci comprendere la trasversalità dell’opera che è tutto fuorché mansueta e questo non può che essere un pregio. Nel prosieguo la prismaticità si accentua, dal Kammerspiel casalingo-solitario delle prime battute si passa ad una bizzarra svolta salgariana a bordo di un vascello, difficile, per essere onesti, comprendere l’operazione in toto, il sempre benedetto senso unificante appare come una chimera non facilmente raggiungibile, tuttavia proferisco: amen!, il vibrante pastiche che Nicolau edifica vale più degli eventuali significati in esso contenuto.

Sono fresco della monumentale lettura di Contro il giorno (riedito da Einaudi nel maggio ’20) e pertanto la magmatica penna di Pynchon potrebbe aver influenzato il ragionamento che segue: ci starebbe un parallelo tra i Compari del Caso del romanzo americano e la ciurma che popola la caravella di Nicolau, non mi riferisco tanto a dei fini comuni, anche perché in tutta onestà non ho ben capito cosa faccia l’equipaggio del film oltre a solcare i simbolici mari dell’esistenza, quanto ad una simile realtà finzionalizzata che abitano. Nel senso, entrambi i racconti, seppur con le dovute distinzioni, con modalità variegate trascendono la storia e quindi il tempo, ma anche in merito allo spazio non si scherza, se l’aeronave di Pynchon viaggia sotto la sabbia del deserto, la nave di Nicolau svanisce nel nulla da un fotogramma all’altro. Ciò che voglio rimarcare affiancando Contro il giorno ad un film che è stato realizzato in altri contesti di pensiero riguarda la cifra postmoderna che sostanzia A Espada e a Rosa, è infatti sotto e negli occhi di chiunque lo vedrà che si è al cospetto di un oggetto multidisciplinare il quale si avvale di registri diversi (c’è perfino dello stop-motion o simil tale) per ottenere un’organicità, un’armonia, un’unitarietà a cui affibbiare tutti i sinonimi di “bislacco” che volete. Ecco allora il (forse) tratto addensante: la postmodernità (?). Capisco che può apparire arduo a volte, se fino allo pseudo-ammutinamento l’attenzione è abbastanza viva nonostante il venir chiamati a rispondere di situazioni che spaziano dalla (fanta)scienza (ordunque, che cosa è il Plutex?) alla filosofia o alla cosmologia, il reclutamento (o rapimento?) dei nuovi membri spinge sull’acceleratore della stranezza dipingendo un quadro astratto con tanto di santone (uno... e trino, sarà un caso?) che professa cose non troppo stuzzicanti, però, bypassando le complicazioni nello stringere un feeling con la proiezione, A Espada e a Rosa ritengo possegga un suo valore intrinseco perché è un prodotto di valore, originale, pieno di soluzioni estetiche intriganti e ancora vivo nonostante i dieci anni e passa sul groppone, oltre che uno estrinseco perché è l’alfiere di un movimento che di lì a poco sarebbe definitivamente decollato con Tabu (2012).

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