mercoledì 22 luglio 2020

Sin Dios ni Santa María

Da dove proviene Sin Dios ni Santa María (2015)? Probabilmente da un Iperuranio sciamanico o da un cielo carico di elettricità adombrato da nuvoloni neri, all’incirca gli stessi territori d’origine di Gulyabani (2018), quel limbo, quella zona, quell’esserci fuori dal tempo e dentro al tempo, così, in un Uroboro sulfureo che preleva elementi del passato (si tratta di voci registrate tra il 1965 e il 1967 sull’isola di Tenerife) per cucirli sopra ad un apparato visivo in via di disgregazione, i due registi spagnoli Samuel M. Delgado ed Helena Girón (date retta a me, segnateveli), entrambi under trenta al momento di girare il loro lavoro, utilizzano una pellicola in progressivo deterioramento, le immagini hanno una grana bassa, tremolante, piena di graffi e con colori iper-saturi, anche il sonoro risulta disturbato, anzi, più che di sonoro possiamo parlare di un’unica interferenza che distorce ora il sibilo del vento ora la voce ectoplasmica che racconta di cose lontane, al confine con il mito. A rinforzare l’incantesimo ecco gli aspri profili vulcanici a picco sul mare, prima, ora e poi un’anziana donna raccoglie dell’erba che pesa nella sua abitazione. Succede che, allora, nel ribollente pentolone-cinema quella donna incarni la sorcellerie che ci viene tramandata oralmente, come una fiaba, come una preghiera.

E dove va Sin Dios ni Santa María? Probabilmente, di nuovo, nell’area delle suggestioni, le nostre, che ricostruiscono questa storia di streghe in un’atmosfera di pura bruma. Delgado & Girón come Gürcan Keltek, come altri innumerevoli artisti che vanno e vengono attraverso la dogana del comprensibile, che costruiscono con delle macerie già crollate cento, duecento anni fa, praticamente domani, che manipolano il loro oggetto di studio in stanze oscure da moderni alchimisti dove basta avere un computer e qualche programma consono, due registi che chiedono fondamentalmente una sola cosa a chi guarda: di lasciarsi andare alla circolazione ematica che reticola questo strano corpo fatto di luce e di divenire, quindi, parte dell’emorragia che defluisce illuminando stanze mentali piene di tende e vecchi mobili impolverati. Sia manifesto: Sin Dios ni Santa María è al massimo un buon punto di partenza per – si spera – ulteriori sviluppi futuri, nel frattempo godiamocelo.

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