venerdì 24 luglio 2020

DAU. New Man


IL PROGETTO DAU

C’è un folle che si aggira per la Russia, questo folle si chiama Ilya Khrzhanovskiy.
Tra il 2009 (ma alcuni siti riportano il 2008) ed il 2011 allestisce in Ucraina, presso la città di Charkiv, una gigantesca struttura che ricrea in maniera certosina un fantomatico Istituto sovietico (è la riproduzione di un centro di ricerca segreto ubicato a Mosca che fu attivo dal 1938 al 1968), in un’area di riprese da oltre dodicimila metri quadrati che pare si sia guadagnata la nomea di set più grande d’Europa (e si presume anche del mondo) dove, attraverso un poderoso sforzo produttivo tra Europa e Russia, ha costruito una specie di realtà parallela perfettamente abitabile, vivibile, si dice infatti che centinaia e centinaia di “attori”, divenuti tali poiché parte concreta del progetto ma entrati dentro ad esso come tecnici, scienziati, filosofi e via dicendo, abbiano vissuto per davvero all’interno di questa ciclopica
Synecdoche, New York in salsa stalinista (e quindi abbiano indossato gli abiti d’epoca e mangiato e bevuto cibi di quel periodo) facendo sì che la distanza tra ciò che erano ed il ruolo che interpretavano si assottigliasse fino a svanire. Non è chiaro con quali modalità ma ci sono molti nomi di celebrità anche al di là dell’universo cinema che hanno fatto parte di DAU: Gerard Depardieu, Marina Abramović, Willem Dafoe, Charlotte Rampling, Brian Eno, perfino il nostro Carlo Rovelli che, insieme a Gianluigi Ricuperati (lo scrittore dall’esperienza ne ha tratto il romanzo Est edito da Tunué nel 2018), rappresenta la quota italica. Il titolo di questo esperimento cine-sociale prende il nome dal fisico Lev Davidovič Landau perché nell’idea iniziale Khrzhanovskiy voleva semplicemente (?) fare un biopic su di lui, ma il risultato che ne è conseguito parla di circa settecento ore complessive di girato tanto che sul sito ufficiale (link) si contano tredici film (ma sarà corretto definirli film?) che plausibilmente verranno pian piano resi disponibili. Facendo un passo indietro, il primo contatto tra DAU ed il resto del mondo avviene, dopo numerosi annunci e altrettante smentite, a Parigi il 24 gennaio 2019 con una mega video-installazione che coinvolge il Centro Pompidou insieme a due teatri parigini, qui Khrzhanovskiy proietta a ciclo continuo il suo ciclopico blob in un diorama sovietico che a sua volta rimanda a quello dell’Istituto, un articolo apparso sul Sole 24 ore ne parla come di un “flop colossale”. Un anno dopo le prime due parti di DAU vengono presentate a Berlino ’20. Qualunque cosa sia DAU, se un film, un’opera d’arte contemporanea o una mastodontica baggianata, sarà comunque una pietra angolare con cui si dovrà fare i conti, probabilmente la sfida cinefila più esaltante degli anni venti.
  _________

DAU. NEW MAN

Purtroppo dobbiamo ammettere che DAU. New Man (2020) è, nell’immaginario di DAU, un film che non ha senso di esistere, non ce l’ha non per suoi possibili attributi negativi, quanto per la totale dipendenza da DAU. Degeneration (2020), anzi, altro che dipendenza!, qui siamo nel campo del mero compendio e di conseguenza risulta arduo dire qualcosa di diverso da ciò che era stato detto in precedenza. Le motivazioni che hanno spinto Ilya Khrzhanovskiy ed il suo team a montare quelli che probabilmente erano degli scarti non finiti dentro Degeneratsiya si collocano, a mio avviso, nell’unica ottica possibile, che è quella monetaria visto che ogni episodio del colosso artistico è vedibile in streaming sulla piattaforma dedicata al progetto, premettendo che comunque non si saranno certo arricchiti con un singolo film (il costo è di 3 $ cadauno), resta la conferma di assistere ad una copia ridotta di ciò che è stato già visto, e a riprova di un’operazione che fatica molto a stare in piedi ci sono dei commenti scritti in cirillico che potete andare a tradurvi proprio sul sito ufficiale (link) di DAU dove in buona sostanza alcuni utenti dicono: Khrzhanovskiy, ma che hai combinato? Il fatto che ci si occupi nuovamente degli ultimi mesi dell’Istituto e quindi dell’arruolamento da parte di Azhippo del gruppetto di facinorosi capitanati da Maxim Martsinkevich (che ricordo essere un vero criminale russo condannato per violenze di vario tipo), non legittima l’azione di riproporre uno schema narrativo che ne ricalca un altro, perché i propositi di concentrarsi sugli esperimenti alla ricerca di un “superuomo” vengono presto accantonati preferendo la seguente progressione: nell’Istituto la situazione sta sfuggendo di mano, bisogna fare piazza pulita. Niente di più, niente di meno di Degeneration, con l’aggravante che là, stendendosi su sei ore di proiezione, la storia prendeva ulteriori direzioni, in New Man, di queste direzioni, se ne imbocca una, ampiamente risaputa.

Del materiale usato ci sono scene inedite, e plausibilmente sono anche in maggioranza. Khrzhanovskiy si sofferma un pelo di più sulle pratiche in laboratorio, sugli allenamenti dei quattro ceffi, su piccoli episodi comunque ininfluenti (tipo l’affissione di uno striscione). Ma soprattutto assegna un maggiore spazio alla relazione tra Maxim e Vika, la responsabile della mensa, il che sancisce, ancora una volta, di come dentro DAU permanga uno sguardo “rosa” sui rapporti sentimentali che vengono catturati senza filtri, anche nei momenti più intimi. Non sono sicuro se il regista dando un tale peso alla liaison abbia voluto sottolineare che anche un esaltato del genere può avere ancora un cuore da qualche parte (salvo poi dimostrarsi uno spietato assassino con la mattanza finale) o se oppure ha semplicemente immortalato gli scampoli di un contatto fisico-emotivo avvenuto realmente dentro l’Istituto, d’altronde il sale del progetto è proprio la labilità del confine che separa l’impostazione dalla naturalezza, ad ogni modo, sia la presenza di nuove sequenze che il focalizzarsi sull’improbabile coppia, non mitiga minimamente il senso di generale déjà vu che si percepisce dal primo all’ultimo minuto. Sfortunatamente con l’avvicinarsi del finale e con la sua concretizzazione, il film diventa la copia esatta del predecessore, ad esclusione dello sgozzamento suino, l’escalation di violenza, anticipata dall’identica conversazione con Azhippo, è la medesima di Degeneration, un vero e proprio copia e incolla a dir poco evitabile. Khrzhanovskiy ci vuol dire che con lo sterminato monte ore di girato a disposizione non aveva altri elementi per costruire una linea narrativa originale? Bah, New Man è nel puzzle-DAU un pezzo davvero superfluo.

Nessun commento:

Posta un commento