In merito al comparto narrativo assistiamo ad uno spaccato formativo che usa degli ingredienti classici: passato complicato, presente non da meno e impepata sentimentale a ravvivare un’esistenza pericolosamente anonima. Clapin tiene il tutto sotto controllo (e per questo mi sarebbe piaciuto qualche graffio inatteso), dosa i flashback che piacciono perché provenienti dall’arto mutilato, come se possedesse una sua memoria, un suo trascorso, e struttura l’infatuamento di Naoufel con quel garbo e quella delicatezza ascrivibili alle opere animate. Non voglio affermare che ci sia il pilota automatico però la progressione della vicenda è priva di particolari sussulti, una legge non scritta vuole che un rapporto, effettivo o in procinto di essere tale, subisca un’interruzione ed è ciò che accade, solo che il diniego di Gabrielle arriva forzato e fin troppo brusco, quasi fosse una svolta obbligata per legittimare l’evento-madre, ovvero l’infortunio con la sega che trancerà la mano di Naoufel. E a proposito di quest’ultima, serbo un pizzico di perplessità sul ricongiungimento con il resto del corpo, poteva esserci maggior poesia, maggior urto emotivo al posto di una riunificazione un po’ in sordina visto che il finale se lo prende Gabrielle. Il procedimento che ne consegue dove veniamo edotti del superamento di Naoufel, letteralmente: di un salto, verso un nuovo futuro non è malaccio perché gioca con la registrazione audio ascoltata dalla ragazza e i fatti come sono davvero avvenuti. È sufficiente questo “diploma di vita” che si certifica nella conclusione a soddisfare lo spettatore? Nì. Di cose dentro a Dov’è il mio corpo? ce ne sono, il mood-looser adolescenziale, la perdita, il ricordo, la voglia di sentirsi accettati, il desiderio, il sogno di un altrove e di una condivisione in questo altrove, ma sono tutte cose che nell’area animata risultano pressoché all’ordine del giorno, perciò oltre a dire che si tratta di un film carino non dico.
Expats
1 ora fa
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