sabato 21 aprile 2018

Dead End

Dead End (2013), corto cipriota presentato a Locarno ’13, comincia con l’immagine frontale di un letto al centro di una stanza in disordine, niente di strano se non fosse che il sonoro proveniente dall’ambiente è distorto, metallizzato, il respiro delle persone sotto le coperte è subacqueo e si propaga per riverberi. Quindi, ad un quadro di apparente quotidianità la regista Tonia Mishiali unisce un elemento fuori dal coro, un’atmosfera non proprio beneaugurante. Subito dopo capiremo il perché di una tale falsificazione uditiva, e nel momento della suddetta comprensione il cortometraggio perde ogni minimo spunto di interesse, ammesso che ne abbia mai avuto uno. La Mishiali vorrebbe imbastire un discorso sull’incomunicabilità di una coppia anziana: la moglie esige sproloquiando, il marito non può sentirla perché sordo, di una distanza del genere ci viene offerta un’idea abbozzata di cappa routinaria, segnali che si prendono così come vengono, ad esempio: la fretta con cui l’uomo guida per le strade della città indica un tentativo di fuga dalla “prigione”, l’intesa con la commessa che sa cosa lui vuole, il bottino (infilato in un cesso, sarà un caso?) che è un tesoretto accumulato probabilmente da anni. Si registra l’assenza di un’azione che sappia perforare la superficie dei fatti rappresentati, i gesti del vecchio sono di immediata lettura così come è agevolmente decifrabile il contesto oppressivo inscenato. Agevole intelligibilità = inoffensività.

Non credo nemmeno che Dead End voglia intraprendere una strada pseudosociale con la faccenda dei gratta e vinci, presumere che qui si faccia del campo di studio sulle ragioni che possono portare ad una deriva esistenziale per colpa del gioco d’azzardo è una teoria che non può trovare convalidamento, il corto non ha proprio le caratteristiche per spingersi al di là del piatto aneddoto. E comunque in siffatti esemplari di cinema che per costituzione puntano molto su un finale (diciamo) a sorpresa, succede che l’evento conclusivo, non essendo supportato da premesse convincenti, risulta forzato da quell’esigenza di voler mettere obbligatoriamente un punto in fondo alla sentenza. La luttuosa situazione finale, spoilerata già dal titolo, nonostante il potenziale drammatico si rivela infatti innocua.

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