Dead End (2013),
corto cipriota presentato a Locarno ’13, comincia con l’immagine
frontale di un letto al centro di una stanza in disordine, niente di
strano se non fosse che il sonoro proveniente dall’ambiente è
distorto, metallizzato, il respiro delle persone sotto le coperte è
subacqueo e si propaga per riverberi. Quindi, ad un quadro di
apparente quotidianità la regista Tonia Mishiali unisce un elemento
fuori dal coro, un’atmosfera non proprio beneaugurante. Subito dopo
capiremo il perché di una tale falsificazione uditiva, e nel momento
della suddetta comprensione il cortometraggio perde ogni minimo
spunto di interesse, ammesso che ne abbia mai avuto uno. La Mishiali
vorrebbe imbastire un discorso sull’incomunicabilità di una coppia
anziana: la moglie esige sproloquiando, il marito non può sentirla
perché sordo, di una distanza del genere ci viene offerta un’idea
abbozzata di cappa routinaria, segnali che si prendono così come
vengono, ad esempio: la fretta con cui l’uomo guida per le strade
della città indica un tentativo di fuga dalla “prigione”,
l’intesa con la commessa che sa cosa lui vuole, il bottino
(infilato in un cesso, sarà un caso?) che è un tesoretto accumulato
probabilmente da anni. Si registra l’assenza di un’azione che
sappia perforare la superficie dei fatti rappresentati, i gesti del
vecchio sono di immediata lettura così come è agevolmente
decifrabile il contesto oppressivo inscenato. Agevole intelligibilità
= inoffensività.
Non credo nemmeno che
Dead End voglia intraprendere una strada pseudosociale con la
faccenda dei gratta e vinci, presumere che qui si faccia del campo di
studio sulle ragioni che possono portare ad una deriva esistenziale
per colpa del gioco d’azzardo è una teoria che non può trovare
convalidamento, il corto non ha proprio le caratteristiche per
spingersi al di là del piatto aneddoto. E comunque in siffatti
esemplari di cinema che per costituzione puntano molto su un finale
(diciamo) a sorpresa, succede che l’evento conclusivo, non essendo
supportato da premesse convincenti, risulta forzato da quell’esigenza
di voler mettere obbligatoriamente un punto in fondo alla sentenza.
La luttuosa situazione finale, spoilerata già dal titolo, nonostante
il potenziale drammatico si rivela infatti innocua.
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