lunedì 6 marzo 2017

Below Sea Level

Primo lungometraggio per Gianfranco Rosi girato all’età di quarantaquattro anni, Below Sea Level (2008) è il risultato di un’idea di cinema che il regista nato in Eritrea aveva già sperimentato molto tempo prima con Boatman (1993), qui il padre de El Sicario, Room 164 (2010), personaggio particolare che dato il palmares è ormai da considerare come uno degli autori nostrani di maggior rilievo in campo internazionale, decide di lavorare in modo certosino il proprio soggetto filmico, visto che, come sembra evidente, l’attenzione in ogni film si è sempre riposta nell’Umano, l’avvicinamento alla materia prima, e quindi agli uomini che ne popolano i lavori, non poteva che essere confidenziale e lontano da un “mordi e fuggi”, prima presentarsi come Gianfranco e poi come Regista. E da tali premesse si comprende più agevolmente il substrato di Below Sea Level nella misura per cui un documentario del genere poteva essere soltanto così: una mimesi di Rosi nella quotidianità di Slab City, ne risulta perciò un atto registico ammirabile: la fusione intima con annessa fiducia e intesa da parte dei vari personaggi verso Rosi prima ancora del film in sé e del cinema, tutto ciò è una cosa che definirei “bella” e che fa onore all’autore il quale si prende un tempo che il cinema commerciale altrimenti non permetterebbe (si parla di mesi e mesi di reciproca conoscenza).

La forma di Below Sea Level assomiglia a quello che sarà Sacro GRA (2013), ossia un collage fotografico di persone al limite e anche oltre, ma se la pellicola che vincerà a sorpresa nonché immeritatamente il Leone d’Oro a Venezia ’13 si macchia a mio avviso di un autorialismo ingiustificato (oltre che di un’aria derivativa: Seidl faceva film così già vent’anni prima), il documentario girato in California mantiene inalterata una certa “verità”, quell’aderenza al reale che allieta la visione: meno fiction c’è e più il nostro sguardo si purifica, se poi la decontaminazione avviene attraverso un apparato di storie che ci parlano di polvere e macerie tanto meglio: sì, al di là degli aspetti di superficie più pronosticabili (appunto: l’isolamento di tanti gesù cristi nel nulla desertico; la vena di follia che scheggia talune orbite; il degrado generale che possiamo constatare), Below Sea Level non è un film che mette in risalto la Povertà Assoluta, la Disperazione o altre istanze che dovrebbero definire l’esistenza dei senzatetto, nel senso, se rispolveriamo un’opera come Dark Days (2001), senza scomodare l’oltre: L’ultimo posto sulla terra (2001), nel film di Rosi non vi è un sentimento così sconfortante, anzi nel quadro che sarà anche di innegabile miseria brillano degli esseri umani comunque vivissimi, spiantati ma con uno spessore intellettuale (il tizio che elenca le qualità delle mosche) e sentimentale (l’ammissione della donna che nel dialogo più drammatico del film prende coscienza della propria condizione) da far invidia ai propri civilizzati simili. La ballata di questa moderna comune si fa scrigno, proprio dove è difficile immaginare un domani ecco quel prezioso antidoto che ha tale nome: umanità.

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