lunedì 27 marzo 2017

Bambi

La vita di Marie-Pierre Pruvot. Chi? Marie-Pierre Pruvot. Ma prima di tutto la tappa di un tragitto autoriale incominciato molti anni prima che possiede una visione tutta focalizzata sull’omosessualità, nella filmografia del parigino Sébastien Lifshitz non c’è un titolo in cui non venga tematizzata tramite una molteplicità d’approcci la questione gay, ed anche Bambi (2013) si instrada nella suddetta scia con un modo piuttosto scarno ed essenziale, mdp puntata su Marie che racconta e inserzione sporadica di immagini archivistiche girate probabilmente dalla stessa protagonista. Chi sia questa donna è presto detto: classe ’35, nata Jean-Pierre in Algeria e migrata in Francia a causa di una scomodità ancor prima geografica che corporale, trova a Parigi se stessa sul palco del Carrousel esibendosi in spettacoli antesignani del burlesque, ma la sua irrequietezza la fa allontanare dai riflettori per scegliere l’anonimato, una laurea, una cattedra, l’insegnamento, la pensione.

Questa sinossi è esattamente quello che Bambi propone, la narrazione di una storia personale che però è uguale a molte altre già sentite, e quindi abbiamo il disprezzo dei genitori che non accettano un figlio che a sua volta non si accetta come figliO, il tormento intimo da cui sboccia l’incomprensione da parte del mondo fuori, gli amori vissuti e sofferti, il riscatto (che qui avviene quando Bambi porta nel locale dove si esibisce l’anziana mamma con la zia), la valutazione ex-post della propria vita e il “rifarei tutto, perché sì”. Dunque, mi sento di asserire che ogni componente di un’esistenza così complicata corrisponde agli stessi capitoli di una qualunque vicenda assimilabile, certo qui è evidente che Marie ha compiuto un percorso raro non facilmente equiparabile a quello di altri transessuali, ma nel nucleo, nel cuore dell’argomento dove si trova la materia umana, quella più vera, le cose non sono diverse. Un tiepido interesse lo si può indirizzare verso la cornice storica ragionando sui tempi andati e sul grado di accettazione del “diverso” che oggidì non si è alzato granché, è comunque poco, Lifshitz, già autore di Wild Side (2004), film con un incipit che è rimasto nella memoria, nel mostrarci con orgoglio la dignità di questa signora si lascia trasportare da un canale già usato sia nel campo del come che in quello del cosa. In breve: niente di che.

Nessun commento:

Posta un commento