PREFAZIONE (sull’essere martiri)
Mesto na zemle (2001) è un film che proviene da un altro mondo.
Introdurre un’opera del genere in maniera distaccata, senza lasciarsi prendere da celebrazioni figlie dell’emotività, è cosa difficile, perciò di fronte ad un esemplare di cinema così scomodo, così moribondo, così devastante, lascio la parola all’eloquenza dei fatti, e i fatti dicono che Artour Aristakisian, regista che annovera nel suo curriculum “solo” due opere, questa e Le palme delle mani (1994), per girare L’ultimo posto sulla Terra non solo ha messo in gioco la carriera, ma è andato oltre, perché istituendo lui stesso questa comunità di reietti nel ventre di Mosca e sovvenzionandola con i suoi denari, ha finito per diventare anch’egli un senzatetto, una lattina schiacciata tra la sporcizia urbana, un mendicante deforme all’angolo della strada. Sebbene non vi siano conferme dirette (a questo link possiamo vederlo perlomeno vivo vicino a Ghezzi), le voci consultabili su Internet dicono così, e l’idea aggrada molto perché al di là del possibile dispiacere per l’uomo-Artour, emerge sotto i nostri occhi il profilo di un martire moderno, di un’artista che ha sacrificato tutti i suoi averi, tutte le sue energie, in nome del cinema.RIVOLUZIONE! (sull’essere amati)
Mosca, anzi no, la Città è un corpo umano di cemento dove il cervello (ecco il Cremlino, laggiù sullo sfondo) incombe sugli altri organi; le strade sono arterie percorse da automobiline e persone in giacca e cravatta; il cuore non esiste, non è mai esistito e mai esisterà. Ma poco sotto, tra le tubature delle fogne, gli escrementi espulsi da questo fantoccio di smog e grigiore si aggregano, si passano calore, si donano l’un l’altro seguendo i dogmi di un Messia talmente terreno da far rabbrividire, un uomo che non è figlio di nessuno, che è disposto a immolarsi per il gruppo (il topo morto azzannato), e a immolare se stesso (l’auto-evirazione) per depauperare quei sentimenti che lo distraggono dal progetto, l’amore con la a minuscola non trova posto in una cloaca del genere. Quello maiuscolo è invece il collante che avvicina ogni esponente della comunità, non si ama per attrazione, ma si ama perché si deve, perché anche gli ultimi possono trovare una mano aperta ad incontrare la loro guancia, e non importa niente della razza, della provenienza (un cinese ermafrodito come simbolo di alterità) o del lerciume che inzacchera la pelle, davanti a sé hanno un essere umano, e ciò è più che sufficiente. L’Amore come arma rivoluzionaria: mentre fuori da quelle quattro mura intossicate da miasmi pestilenziali gli omuncoli da ufficio conducono la propria ordinaria esistenza, lì dentro tambureggia un micro-cataclisma sociale, uno sguardo di indifferenza verso l’esterno come se ottobre fosse diventato un mese lungo anni, una rivoluzione muta, disinteressata al potere, calibrata all’alienazione sentimentale, al tapparsi le orecchie e al chiudere gli occhi per sentirsi in paradiso.
Il cuoredi Mosca della Civiltà si ritrova ad essere un pugnetto di ventricoli tutto atrofizzato e ammuffito, ma, in un modo o nell’altro, ancora vivo.TUMULAZIONE (sull’essere morti)
Fin da subito si è però pervasi dalla sensazione che l’esperimento di Aristakisian abbia un che di anacronistico. Una comunità hippie alle soglie del nuovo millennio non può funzionare, sul serio, agli occhi dei cittadini la loro condotta stinge di trasgressione: non è più controcultura ma allontanamento dalla realtà, arginamento della propria condizione di disadattati, elegia delle macerie di se stessi, rotolamento nel porcile esistenziale, letamaio calcificato nella melma, discarica per immondizia non riciclabile: non c’è alcuna possibilità di futuro, ed è facile intuirlo perché in un luogo dove gli adulti suggono il latte dalle coetanee e i neonati muoiono schiacciati da un gesto distratto, le parole di un Messia diventano le farneticazioni di un tipo qualunque che, forse, ha messo in piedi questo circo di freaks per mascherare il suo malessere affettivo.
E poi c’è Maria. La storpia, colei che è sintesi (“cercavo un posto dove potermi sentire accettata”) e al contempo distacco (non viene detto a chiare lettere, ma è probabile che il raid nasca da una sua “soffiata”), l’unica di cui sapremo il nome, la pellegrina con un’espressione quanto mai tangente all’idea di sofferenza. È lei che una volta giunta nella congrega diventa testimone degli eventi e del progressivo quanto inarrestabile deteriorarsi di una realtà deteriorata in partenza, e nell’istante dopo la tempesta (una madre disposta ad uccidere la figlia pur di non consegnarla alle autorità) la vediamo sbucare da una voragine nella strada, il viso martoriato, trasfigurato, inenarrabile, le gambe che non la reggono; striscia come un verme lungo le scale mentre le persone passano accanto a lei indifferenti. Poi si alza, vacilla, le bende luride, le scarpe straziate. La fine.
POSTFAZIONE (sull’essenza)
Mesto na zemle è un film che proviene da un altro mondo perché va oltre le coordinate che solitamente guidano l’occhio, la mente e le emozioni di uno spettatore. È una pellicola ammutolente che rende futile ogni protesi interpretativa (compresa questa), e apre porte su quell’infinità nella quale è collocata la banale finità dell’Uomo. Capire che cosa è è troppo, comprendere cosa non è è il massimo che si possa fare, e quindi: non è un film accuratamente geografico: certo c’è la Russia che fa da sfondo, ma come spesso accade in opere così fatte gli interessi sociologici vengono pian piano soppiantati da quelli ontologici (per non dire cosmologici) e così una catapecchia piena di barboni può tradurre la totalità del Mondo; e non è nemmeno geometrico: la forma è deformata, anticipa, espone, ripropone, si interessa a diramazioni ulteriori come il segmento sconvolgente del cinese e la stracciona che rappresenta, lo dico senza la minima esitazione, il momento di cinema più disperato che abbia mai visto; e infine non è catalogabile temporalmente: perché il bianco e nero e le facce degli attori lo rendono un lungometraggio a prescindere dall’oggi, un film di fuliggine che ritrae un Medioevo moderno, un’epoca talmente buia dove nemmeno l’amore potrà salvarci.
Mesto na zemle (2001) è un film che proviene da un altro mondo.
Introdurre un’opera del genere in maniera distaccata, senza lasciarsi prendere da celebrazioni figlie dell’emotività, è cosa difficile, perciò di fronte ad un esemplare di cinema così scomodo, così moribondo, così devastante, lascio la parola all’eloquenza dei fatti, e i fatti dicono che Artour Aristakisian, regista che annovera nel suo curriculum “solo” due opere, questa e Le palme delle mani (1994), per girare L’ultimo posto sulla Terra non solo ha messo in gioco la carriera, ma è andato oltre, perché istituendo lui stesso questa comunità di reietti nel ventre di Mosca e sovvenzionandola con i suoi denari, ha finito per diventare anch’egli un senzatetto, una lattina schiacciata tra la sporcizia urbana, un mendicante deforme all’angolo della strada. Sebbene non vi siano conferme dirette (a questo link possiamo vederlo perlomeno vivo vicino a Ghezzi), le voci consultabili su Internet dicono così, e l’idea aggrada molto perché al di là del possibile dispiacere per l’uomo-Artour, emerge sotto i nostri occhi il profilo di un martire moderno, di un’artista che ha sacrificato tutti i suoi averi, tutte le sue energie, in nome del cinema.RIVOLUZIONE! (sull’essere amati)
Mosca, anzi no, la Città è un corpo umano di cemento dove il cervello (ecco il Cremlino, laggiù sullo sfondo) incombe sugli altri organi; le strade sono arterie percorse da automobiline e persone in giacca e cravatta; il cuore non esiste, non è mai esistito e mai esisterà. Ma poco sotto, tra le tubature delle fogne, gli escrementi espulsi da questo fantoccio di smog e grigiore si aggregano, si passano calore, si donano l’un l’altro seguendo i dogmi di un Messia talmente terreno da far rabbrividire, un uomo che non è figlio di nessuno, che è disposto a immolarsi per il gruppo (il topo morto azzannato), e a immolare se stesso (l’auto-evirazione) per depauperare quei sentimenti che lo distraggono dal progetto, l’amore con la a minuscola non trova posto in una cloaca del genere. Quello maiuscolo è invece il collante che avvicina ogni esponente della comunità, non si ama per attrazione, ma si ama perché si deve, perché anche gli ultimi possono trovare una mano aperta ad incontrare la loro guancia, e non importa niente della razza, della provenienza (un cinese ermafrodito come simbolo di alterità) o del lerciume che inzacchera la pelle, davanti a sé hanno un essere umano, e ciò è più che sufficiente. L’Amore come arma rivoluzionaria: mentre fuori da quelle quattro mura intossicate da miasmi pestilenziali gli omuncoli da ufficio conducono la propria ordinaria esistenza, lì dentro tambureggia un micro-cataclisma sociale, uno sguardo di indifferenza verso l’esterno come se ottobre fosse diventato un mese lungo anni, una rivoluzione muta, disinteressata al potere, calibrata all’alienazione sentimentale, al tapparsi le orecchie e al chiudere gli occhi per sentirsi in paradiso.
Il cuore
Fin da subito si è però pervasi dalla sensazione che l’esperimento di Aristakisian abbia un che di anacronistico. Una comunità hippie alle soglie del nuovo millennio non può funzionare, sul serio, agli occhi dei cittadini la loro condotta stinge di trasgressione: non è più controcultura ma allontanamento dalla realtà, arginamento della propria condizione di disadattati, elegia delle macerie di se stessi, rotolamento nel porcile esistenziale, letamaio calcificato nella melma, discarica per immondizia non riciclabile: non c’è alcuna possibilità di futuro, ed è facile intuirlo perché in un luogo dove gli adulti suggono il latte dalle coetanee e i neonati muoiono schiacciati da un gesto distratto, le parole di un Messia diventano le farneticazioni di un tipo qualunque che, forse, ha messo in piedi questo circo di freaks per mascherare il suo malessere affettivo.
E poi c’è Maria. La storpia, colei che è sintesi (“cercavo un posto dove potermi sentire accettata”) e al contempo distacco (non viene detto a chiare lettere, ma è probabile che il raid nasca da una sua “soffiata”), l’unica di cui sapremo il nome, la pellegrina con un’espressione quanto mai tangente all’idea di sofferenza. È lei che una volta giunta nella congrega diventa testimone degli eventi e del progressivo quanto inarrestabile deteriorarsi di una realtà deteriorata in partenza, e nell’istante dopo la tempesta (una madre disposta ad uccidere la figlia pur di non consegnarla alle autorità) la vediamo sbucare da una voragine nella strada, il viso martoriato, trasfigurato, inenarrabile, le gambe che non la reggono; striscia come un verme lungo le scale mentre le persone passano accanto a lei indifferenti. Poi si alza, vacilla, le bende luride, le scarpe straziate. La fine.
POSTFAZIONE (sull’essenza)
Mesto na zemle è un film che proviene da un altro mondo perché va oltre le coordinate che solitamente guidano l’occhio, la mente e le emozioni di uno spettatore. È una pellicola ammutolente che rende futile ogni protesi interpretativa (compresa questa), e apre porte su quell’infinità nella quale è collocata la banale finità dell’Uomo. Capire che cosa è è troppo, comprendere cosa non è è il massimo che si possa fare, e quindi: non è un film accuratamente geografico: certo c’è la Russia che fa da sfondo, ma come spesso accade in opere così fatte gli interessi sociologici vengono pian piano soppiantati da quelli ontologici (per non dire cosmologici) e così una catapecchia piena di barboni può tradurre la totalità del Mondo; e non è nemmeno geometrico: la forma è deformata, anticipa, espone, ripropone, si interessa a diramazioni ulteriori come il segmento sconvolgente del cinese e la stracciona che rappresenta, lo dico senza la minima esitazione, il momento di cinema più disperato che abbia mai visto; e infine non è catalogabile temporalmente: perché il bianco e nero e le facce degli attori lo rendono un lungometraggio a prescindere dall’oggi, un film di fuliggine che ritrae un Medioevo moderno, un’epoca talmente buia dove nemmeno l’amore potrà salvarci.
....non lo trovo... ma lo vorrei assolutamente vedere... ma come li scovi questi film.. oggi vedo di parlare con il mulo dei vicini, magari con una mela in cambio mi aiuta...
RispondiEliminaSe per strada ti chiamano con un altro nome tu non ti giri.
RispondiEliminaCerca le cose col proprio nome, in Russia sono molto diversi dai nostri...
questo non me lo perdo per nulla al mondo! mi chiedo come uscirò dalla visione di questo film se sto male già adesso per quello che ho letto. Grazie infinite per la segnalazione Eraserhead!!
RispondiEliminaConta che io sono un po' di parte perché mi sento veramente vicino alla cinematografia russa e so già che quando inizierò a vedere Tarkovskij sarà come essere a Medjugorje. Ma Mesto na zemle è comunque "qualcosa" di altro, un film che va visto anche soltanto per sapere che c'è.
EliminaTarkovskij...
EliminaTi gusta?
Eliminaquasi non ci credo! l'ho messo in dl proprio ieri sera dopo aver visto il cofanetto di Aristakisian (dovremmo costruire una statua a Ghezzi che riesce a pubblicare questa roba).
RispondiEliminase è il Capolavoro che sospetto (d'altronde usi quest'etichetta solo in rarissime occasioni, quindi c'è da crederci) scendo giù e compro in blocco tutti e due i film :D
ho letto solo il preambolo sul regista, ma le immagini che hai messo sono più che eloquenti.
sono veramente curiosissimo, non so cosa aspettarmi: forse un'esperienza più che un film.
Ti rispondo al volo: sì è un'esperienza, e non aggiungo altro perché davvero, in casi del genere, le parole sono superflue.
EliminaBisogna vedere.
Questo te lo sei inventato, chiaramente. Ma proverò comunque a cercarlo ;)
RispondiEliminaFammi controllare la mia carta d'identità... cazzo hai ragione: c'è scritto Aristakisian, Eraserhead Aristakisian :)
Eliminaseguo il tuo blog da un anno circa, grazie a te ho visto film davvero sconvolgenti (uno su tutti A Torinói ló e non aggiungo altro) e solo oggi ho pensato di ringraziarti. E'un piacere leggere ciò che scrivi,davvero. Sto cercando Mesto na zemle, forse ci sono riuscito ma non so se è sottotitolato...incrocio le dita! Grazie ancora Eraserhead!
RispondiEliminaGrazie a te per la costanza Raffaele! Per i sottotitoli posso darti una mano, sono qua: http://www.subtitlecube.com/download-subtitles/mesto-na-zemle:380558
RispondiEliminatrovato:)
RispondiEliminaTi risultano miei commenti persi/spam per questo post? 'azzo non me l'ha pubblicato...
RispondiEliminaNon mi risulta un fico secco!
RispondiEliminaciao, fa piacere leggere di aristakisyan. non che lui sia diventato proprio un senzatetto, ma ha raccontato di aver vissuto insieme a quelle persone per tutto il tempo, come accadde anche per ladoni, altro film epocale. che incredibilmente era la sua tesi di laurea, si intende in una scuola di cinema in cui pur di entrare si adattava a fare lavori vari come una specie di custode-bidello, arrivando a dormirci dentro.
RispondiEliminacomunque l'uomo è un "povero" vero, tanto umile nel modo di vivere quanto grandissimo di spirito, di immensa purezza, non diversamente dai suoi film, davvero di un altro mondo.
Prima o poi recupererò tutte le trascrizioni di quanto disse in quell'incontro (i video che segnali qua, purtroppo si sente veramente male, c'era anche l'eco del traduttore simultaneo italiano-russo e viceversa), anche se diverse le ho riportate nella rece del cofanetto.
Una cosa molto bella è stata chiedergli se conosceva e amava Bartas e sentirsi rispondere che erano spiriti affini, grandi amici, e che si erano trovati come due ciechi nella folla.
Ciao anche a te! In effetti era immaginabile che Aristakisyan (yan, ian o jan? Mah!) non fosse diventato un barbone, l'ho scritto solo per dare enfasi al testo, è uno di quei bassi mezzucci da cine-bloggers.
RispondiEliminaLadoni non l'ho ancora visto ma ho dato un'occhiata alle immagini sparse per la rete e solo a vedere quei volti ho avvertito un qualcosa di definitivo.
Però aspetta un attimo, "le ho riportate nella rece del cofanetto"; "una cosa bella è stata chiedergli..."
Cioè? Sei dentro la RaroVideo? Hai curato il cofanetto? Non ho capito un microcazzo io?
Ad ogni modo fa piacere sì quando due registi si rispettano a vicenda, però temo che Artour non sarebbe della stessa opinione se vedesse l'ultimo Sharunas. Non so se ti è capitato tra le mani Eastern Drift, ma io l'ho trovato davvero deludente.
p.s.: bello il tuo spazio virtuale, appena entrato ho avuto un deja-vu, credo di esserci già transitato in passato.
no, mi spiego: non lavoro in rarovideo. ero solo presente all'incontro ghezzi-aristakisyan (anzi, forse è jan: nemmeno io ho ancora capito come si scrive, perfino un amico moldavo non ha saputo illuminarmi e le fonti sono tutte discordi :). In quella occasione ho ripreso quasi l'intero intervento (quello che trovi su youtube). Parte di quell'intervento sia sotto forma di video che di testi, è finito poi nel cofanetto Raro Video e relativo booklet (ma le riprese sono le loro, non le mie). Quando ho recensito il cofanetto in seguito (http://www.sentieriselvaggi.it/16/31565/DVD_-_Cofanetto_Aristakisjan.htm) ho riportato altre cose dette in quella sede, troppe e troppo interessanti per inserirle tutte, ma ne ho ancora un bel po' che prima o poi vorrei utilizzare. Non ho ancora visto l'ultimo Bartas, che certo sembra molto diverso dai suoi film precedenti, ma credo che per me resterà a priori nell'olimpo.
RispondiEliminacomunque quando lo vedrai, sarò curiosa di leggere di Ladoni, che è davvero un'esperienza unica al mondo.
Aaah quindi è per merito tuo che quell'intervista sta nel web, l'umanità non lo sa ma ti è debitrice.
RispondiEliminaLa recensione che hai scritto è scritta col cuore, lo sento, ma credo sia la naturale conseguenza dopo una visione del genere. Sottolineo un passaggio che condivido in pieno: "Sono visioni che, lo dice lo stesso Aristakisjan, potrebbero anche non essere filmate".
E' la stessa cosa che ha detto Ghezzi presentando tempo fa The Turin Horse su Rai5, credo che la forza di questi film, e davvero in particolare quello di Aristakisyan, sia quella di disarmare con il cinema pur non facendo cinema, nel senso che molti degli orpelli che fanno di un film un film qui non ci sono, eppure la portata del tutto è sconvolgente, altissima, sconfinata. Purtroppo temo che Ladoni non potrò vederlo prima di metà giugno, nel frattempo cerco di tenere a bada l'acquolina in bocca.
In merito a Bartas io non sono mai stato il primo dei suoi fan, però l'ho sempre trattato con rispetto e i suoi due ultimi lavori (Freedom e 7IM) mi erano piaciuti parecchio. Ora, con ED, non gli imputo il passo falso del cambiamento perché è giustamente libero di cambiare quel che più gli pare, anche di fare cartoni animati, ma ciò che mi ha deluso è stata una sorta di omologazione al cinema consueto, un film che non sembra di Bartas, e aldilà dello stile proprio nella storia, nel quale lui stesso, come attore, mi è parso molto imballato.
E comunque ti faccio i complimenti, capisco ora che sei una donna, e una donna che si interessa di questo cinema ha tutta la mia stima.
la foto di quella donna è veramente inquietante...comunque me lo devo procurare...
RispondiEliminax ANGELA B.
RispondiElimina(ti rispondo qui che ho cancellato la mail, o forse mi avevi commentato ma il commento è svanito nel nulla, non so, vabbè.)
Non cercare nell'acqua, ma sulle mulattiere.
Ti ringrazio per le belle parole.
Un saluto.
approdo solo oggi su questo oceano di celluloide succulenta che è il tuo blog.grazie.
RispondiEliminascopro bela tarr poi..aiuto, cosa mi aspetta!
mi sono persa tempo fà l'incontro con aristakisyan e ghezzi dal vivo a potenza,poi recuperato ad ogni costo in video.
merita ascoltarlo oltre che farselo permeare nella carne, questo russo.
questo film lo continuo ad avere addosso fin dalla prima visione,non sono riuscita ancora a finirlo e non è da me. mi hai quasi convinta a riprovarci presto.
buone disturbanti visioni a tutt*.
complimenti ancora eraserhead.
a.
Ciao tarantola, per tessere la tua tela cinefila hai assolutamente bisogno di vedere Tarr! In realtà ogni essere umano che calpesta il pianeta dovrebbe vedere i suoi film, ma ho il sentore che la maggior parte di essi non supererebbe i primi 10 minuti.
RispondiEliminaIo ti consiglio di riprenderlo Mesto na zemle, stringere i denti, e guardarlo fino alla fine; non so dove tu sia arrivata (o arrivato?) certo è che quando vedrai la scena tra l'asiatico e la barbona l'opera di Aristakisyan non ti starà più addosso, ti starà dentro.
Ciao! Leggo spesso il tuo blog. Sto cercando senza successo questo film che stampato da rarovideo, risulta fuori catalogo (ordinato due volte e rimborsato tutte e due). Nessuno ha file da condividere? Eventualmente metto a disposizione mia lista dvx. thks
RispondiEliminarizoma, lo trovi su cinesuggestion subbato in ita
EliminaGrazie!
Eliminal'ho appena visto, sconvolgente e bellissimo, molto realista
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