domenica 18 marzo 2012

Plastic Bag

Ramin Bahrani, già regista del non riuscitissimo Goodbye Solo (2008), non poteva che affidare a Werner Herzog la voce narrante del suo incantevole cortometraggio. Questo perché la vita del grande autore tedesco è un’avventura piena di eventi incredibili degni dei film che fa, ma soprattutto perché da che mondo è mondo tutti i viaggiatori sono in cerca di qualcosa, ed ogni incontro, tappa o scontro durante il tragitto, non riesce mai a colmare quel desiderio, quel pensiero, quella malinconia che spinge sempre a continuare verso la speranza, verso ciò in cui si crede.

Bei discorsi, belli, probabilmente, perché trasognanti, ma belli davvero perché scaturiti da 18 lirici minuti in cui un sacchetto di plastica, giusto uno di quelli che danno al supermercato, viene ripreso nella sua odissea fatta di momenti felici (l’apoteosi carnale della caviglia gonfia) a cui si contrappongono per una completezza dannatamente umana momenti nostalgici, laddove la nostalgia diventa il lancinante dolore del ritorno. Ma il mondo è grande e va esplorato, vissuto, affrontato nelle paure più superficiali (i mostri: cani, uccelli, cavalli), apprezzato nell’imprevedibilità della crasi (la scena: il sacchetto che sfiora nel cielo azzurro un suo simile), e percorso, per giungere alla meta agognata, il traguardo della corsa: una laurea, un matrimonio, un figlio. Per il nostro fluttuante protagonista il Pacific Trash Vortex, paradiso in Terra dei rifiuti di plastica. Eppure non è la felicità. Il vuoto non si riempie, la memoria ancora lede.

Film sul viaggio inteso come percorso, opera che candidamente suggerisce i vuoti dell’esistenza, pellicola sull’intimo carburante della vita: il ricordo (my maker) che si trasforma in una forma di religiosità priva di dogmi ed inutili preghiere.

Una fede vacillante come tutte le confessioni:
La mia creatrice esiste davvero o sono io ad averla creata nella mia mente?

Ma comunque (amaramente) fiduciosa:
Spero di incontrarla di nuovo, e se così sarà le dirò una sola cosa: vorrei che tu mi avessi creato, così potrei morire.

E porre fine al viaggio.

12 commenti:

  1. Visibile qui: http://www.youtube.com/watch?v=YDBtCb61Sd4

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  2. struggente, bellissimo. grazie per questo piccolo regalo, Eraser, meritava proprio :)

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  3. un corto geniale che scuote le nostre emozioni toccando con grande poesia la nostra parte più intima. Un altro dei tuoi preziosi consigli Eraser, grazie!

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  4. "why the hell did i cry?"

    Il commento sotto il video dice tutto, almeno per me.

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  5. L'inglese teutonico di Herzog è adorabile :)

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  6. cosa si tira fuori con una busta di plastica!:)

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  7. parentele con il finale di American Beauty?
    è omonimo del pianista, o è proprio il pianista? mi hai messo una curiosità...

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  8. American Beauty? No, perché? :)
    A quanto pare è un omonimo, questo Bahrami di iraniano ha solo le origini.

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  9. il sacchetto di plastica, che danza nel vento: finale del film di Sam Mendes. (però io questo film di Bahrami non lo conosco, magari è tutto diverso). (Il Bahrami pianista è ormai quasi italiano)

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  10. ah che tonto, hai ragione. L'avevo dimenticato! E' comunque un'altra cosa questa di Bahrami, dacci un'occhiata Giuliano, sono solo 18 minuti ma non te ne pentirai!

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