venerdì 18 marzo 2011

7 Days

Jasmine è una bimba che fra 7 giorni festeggia il compleanno. Un pomeriggio esce di casa per dare gli inviti ai suoi amichetti. Il padre si addormenta e quando si sveglia non è ancora tornata. Chiama la polizia. Escono e la trovano in un campo con le cosce insanguinate, morta.

Piacerà molto e a molti Les sept jours du talion (2010) firmato dal canadese Daniel Grou, e i motivi sono quasi nazional-popolari data la presenza di situazioni e personaggi che riportano a eventi reali sui quali tutti si sentono giudici: condanna per il pedofilo e pietà per l’innocente vittima. Giusto, giustissimo. Lo spunto di Grou fa però un passo avanti, e ci spiattella davanti che cosa accadrebbe se un famigliare ferito dalla morte del proprio caro mettesse fisicamente le mani sul carnefice, in pratica: se la giustizia istituzionale venisse soppiantata da quella personale, se la legge del tribunale fosse sostituita da quella del taglione.
Piacerà poi perché questo regista sceglie per la sua opera una traiettoria prettamente artistica che ha poco di esploitativo e molto di introspettivo. La finezza registica caratterizzata da andamenti fluttuanti stride con l’aggressiva impostazione tradizionale del torture-movie, genere al quale 7 Days, comunque, non appartiene tout court.
Eppure piacerà anche per il suo strizzare l’occhio a tale categoria proponendo una visione dei supplizi che sebbene filtrata dalla mano autoriale sa alzare il livello di ribrezzo spettatoriale grazie alla parsimonia del fuori campo che feconda l’immaginazione.
Infine potrà (subliminalmente) piacere per dei piccoli messaggi (/segnali anche di stile) disseminati nella pellicola, dai toni scarichi negli ambienti casalinghi illuminati dal nastrino rosa della bimba, passando per il cervo in progressiva decomposizione e accennando all’origine del disturbo dell’assassino nelle violenze subite dal padre (uff…), tanti indizi che comunque fanno una prova: il mondo è abominevole.

Per tutti questi motivi il film piacerà, ma è all’incirca per gli stessi motivi che l’opera potrà apparire derivativa alla luce delle innumerevoli pellicole che trattano il tema della vendetta.
Il meccanismo vendicativo ha una struttura talmente elementare che necessita di un palliativo in grado di rimpolpare la ritorsione perché se no c’è il rischio di scadere nel mero r&r anni ’70. Ovviamente non è questo il caso, ma è bene ricordare che ci sono state variazioni sul tema molto intriganti nel passato, senza andare a toccare i maestri coreani penso al recente Hard Candy (2005) o al bellissimo film di Agustí Villaronga In a Glass Cage (1987), opere che contengono altro in profondità al di là del raccontato.
Di contro il lavoro di Grou si esaurisce nella sua esposizione, abbiamo un padre che vuole punire secondo il proprio libero arbitrio l’uomo che ha ucciso la sua piccola figlia, così la materia esaminata viene sfruttata solo in superficie e a poco serve il tentativo di appaiare con un parallelo telefonato la vicenda personale del poliziotto a quella del protagonista. E debole è anche la decisione di risucchiare nella vicenda la mamma di una delle vittime precedenti, la sua entrata in scena è abbastanza funzionale ma di certo non indispensabile.
Insomma non riesco a scorgere niente di particolarmente attraente dietro questo orrore, né un prevedibile ribaltamento dei ruoli [1] né lo spiffero di morale che arriva da una voce off (la nostra?) e che chiede al padre se la vendetta sia la soluzione giusta.

Sono sicuro che piacerà davvero tanto. Tenete a mente le mie parole, però; piccole gocce nell’oceano, ma l’oceano non è fatto di gocce?
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[1] Se si vuole approfondire l’argomento diventa indispensabile la visione di I Saw the Devil (2010), maestoso saggio cinematografico sul tema del rovesciamento figurativo.

12 commenti:

  1. eh, questo è da quest'estate che ce l'ho segnato, ormai mi devo decidere a vederlo! bella pure la rece, precisa come al solito: basta il fatto che mi citi il capolavorissimo di Villaronga, una pellicola tra le più toste e affascinanti che ho mai visto, per intirgarmi ancor di più :)

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  2. Una trama inquietante, come sa esserlo spesso anche la vita se si pensano ai fatti reali saliti alla ribalta negli ultimi tempi. Il film merita la visione.

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  3. visto che piacerà a molti, a me potrebbe non piacere :)

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  4. Ciao Tizyana, benvenuta! Il film è vero che merita la visione perché è ben girato, o magari girato diversamente rispetto agli standard registici di questo genere, tuttavia manca a mio avviso una profondità di senso, c'è un padre che sevizia il colpevole, un uomo che tortura un altro uomo, nient'altro.

    Einzi di Villaronga pare sia da vedere il suo ultimo film Pa negre che ha sbancato all'ultima edizione dei Goya.

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  5. ah, sì? ne ero completamente all'oscuro. addirittura pensavo che si fosse ritirato dalle scene! leggendo qua e là ho visto che si è preso pure 9 Goya quest'anno: me lo cerco subito. te l'hai visto?

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  6. Nono, ma a dire il vero non ho nemmeno provato a cercarlo :D

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  7. ho visto solo ora che sul film come un cretino ho scritto la stessa identica cosa che hai scritto te :) diciamo che do la colpa alla stanchezza :D

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  8. Ehehe tranquillo :), tra l'altro ho visto che questo Pa negre è già disponibile per un incontro tete a tete, sicuramente lo vedrò!

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  9. Sembrerebbe di mio gradimento quando riuscissi a trovarlo, spero ;)

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  10. Ciao!Come al solito ho letto con molto interesse quello che hai scritto.Io però l'ho interpretato in un'altra maniera.Per prima cosa credo che avendo io una figlia all'incirca della stessa età della piccola del film è scattato come un processo di identificazione.La scena del ritrovamento della piccola per me è stata la peggiore di tutte,anche di quelle che inquadrano torture corporali senza lasciare nulla all'immaginazione.E'stata la peggiore perchè ho empatizzato il dolore che il padre prova per la perdita della figlia.Secondo me poi il film è anche incentrato sul travaglio di Bruno Hamel che è medico,probabilmente progressista,uno di quelli che salvano le persone per giuramento e che di fronte a certi fatti di cronaca sarebbe sicuramente contrario a ogni forma di violenza.A parole.(e in questo senso intendo anche le parole finali prima di essere portato via in macchina)Un'altra cosa su cui io mi sono soffermato è che il film è canadese e in Canada non c'è la pena di morte. E se Grou avesse voluto fare un apologo contro la pena di morte?Anche il risucchiare dentro la storia la madre di una delle precedenti vittime forse letta in questa maniera avrebbe più senso.Così come il sostegno popolare mostrato nel film che ha Hamel.Spero di non averti annoiato.Un saluto

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  11. Ciao bradipo grazie per l'intervento! Ti rispondo domani sera perché adesso non ho le risorse mentali necessarie per farlo, un saluto anche a te!

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  12. Eccomi! Se mi annoiassi di fronte a intrventi così potrei anche chiudere il blog :)

    A parte il discorso sull'identificazione che mi viene difficile avendo io un'età più vicina a quella della piccola vittima che a quella del padre, le tue osservazioni sono interessanti eccome e ammetto candidamente che non mi erano passate nemmeno per l'anticamera del cervelletto.
    Anzi, il contrasto fra "medico che salva le vite e padre che uccide accecato di rabbia" mi sembra un'ottima chiave di lettura. Qui sta a vedere se Grou non è stato abbastanza bravo suggerirmelo o io a non averlo capito, ma credo sia proprio questa l'ipotesi più plausibile.

    Sulla pena di morte non saprei dire, a volte il confine tra interpretare e sovrainterpretare è sottile. Potrebbe essere, ma sarebbe necessario conoscere meglio l'autore e il suo cine-pensiero, ammesso che ne abbia uno, per vedere se magari questa traccia è rin-tracciabile in altre sue opere. Quisquiglie del sottoscritto ad ogni modo, continuo ad essere convinto che 7 Days metterà d'accordo critica e non.

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