Inizialmente
non gli ho dato troppo conto, l’ho messo lì (lì: in una
cartellina dove confluisce la musica che mi passa davanti).
Poi, ascolto
dopo ascolto, è cresciuto molto (molto: è sbocciato come le rose
che stanno sulla copertina).
Se fra
vent’anni mi chiederanno quale è stato l’album di questa
quarantena infinita (infinita: perché è iniziata da prima,
l’isolamento è atavico).
Risponderei
con una corsa a perdifiato sotto delle stelle irlandesi, nel pieno di
una notte che non mi fa sentire né figlio né padre, in una rabbia
interna che pulsa, che viaggia da un nervo all’altro arrampicandosi
su ogni gradino della spina dorsale impegnata ad evitare che il mio
corpo si disassembli in questa corsa di vita o di morte, di asfalto
che si fa sabbia, che si disfa, come me, tartarughina cieca appena
uscita dal suo uovo o balena millenaria spiaggiata sull’arenile,
come te (te: ?).
Direi che
Karma of Youth, nell’energia
che da lui divampa, nei colori che in me scorrono come un film mentre
lo ascolto, è l’album che più mi ha fatto compagnia mentre tutto,
fuori, finisce di essere tutto (tutto: I don’t have a soul to talk
to anymore / But I’m waiting all night / And I’m waiting all
night).
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