venerdì 27 dicembre 2019

O nosso Homem

Nessuna lampada riuscirebbe a fare luce in quel buio.

È sempre piacevole, ma di un piacere che diffonde nel palato un sapore di sconfitta, penetrare nel mondo di Pedro Costa poiché, come i suoi grandi capolavori ci hanno insegnato, l’intersecazione si fa reciproca e può accadere che in fin dei conti è il suo mondo che sta guardando te, e non il contrario. Preso separatamente O nosso Homem (2010) dirà poco a chi non conosce il maestro portoghese, sì, un taglio “particolare”, un assorbimento del reale notevole, dei dialoghi strampalati, insomma, che altro? L’altro, cioè tutto, è: un’opera che dal ’94 in poi (anno di Casa de Lava) ha continuato a perpetuarsi in ogni sua manifestazione e che focalizzandosi sull’ultimità dell’umano ci ha spedito delle memorabili cartoline dalla penombra, questo è il cinema di Costa che ovviamente contiene ulteriori, pregevoli, componenti a cui si rimanda nei vari commenti che chi scrive ha tentato di riservargli su queste pagine, ma di sicuro un dato che va rimarcato e che si riaffaccia anche nel corto sotto esame è quello di un’attenzione alla geografia, dell’idea che un luogo possa rappresentare le persone e viceversa, e poiché il quartiere di Fontainhas non esiste più allora, in un qualche modo, non esistono nemmeno più i suoi abitanti.

Tutto ciò si realizzerà nel bellissimo lungometraggio successivo Cavallo Denaro (2014), qui siamo ancora in un momento di transizione tra la fine di un’epoca (Colossal Youth, 2006) e l’inizio di un’altra, non solo più oscura e disperata ma anche affrancata dai paletti del realismo, tale proiezione in una dimensione più alta (o più bassa, chissà… ) si deve ad un Costa che dopo la spossante autopsia di In Vanda’s Room (2000) è pian piano salpato verso traiettorie che mischiando i piani spaziali hanno avuto concretizzazione nel sopraccitato film del ’14. O nosso Homem sta quindi a metà tra due mondi e tra due modi espositivi vicini a diventare un tutt’uno, abbiamo perciò nel dialogo tra madre e figlio il desiderio di avere una casa, un tetto, una Patria, eppure subito dopo il discorso scivola nel folkloristico, in una leggenda cupa e tenebrosa, oppure ecco che ritorna il caro Ventura insieme ad un amico, e riecco i problemi economici di quest’ultimo, la perdita del lavoro, della moglie, di se stesso (“sono entrato in una casa abbandonata per riposare e dei ragazzi hanno iniziato a picchiarmi”), di nuovo la loro miseria (mangiano i resti di una zuppa in una mensa scolastica), ma soprattutto, anche, l’apertura verso l’impossibile che si fa possibile nello scambio di battute conclusivo dove si allude alla presunta morte del socio di Ventura, il che ci dà la conferma di come il cinema di Costa stesse già cominciando a mostrarci il lato nascosto della realtà, un lato pullulante di poveri fantasmi.

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