venerdì 20 dicembre 2019

The King's Body

Un po’ gioco, un po’ esperimento, un po’ indagine sociale, un po’ lezione di storia, se sostenevo che il coetaneo Manhã de Santo António (2012) era l’oggetto più particolare dell’intera filmografia rodriguesiana era perché non avevo tenuto conto di O Corpo de Afonso (2012), un titolo che definire originale è una sminuente banalità, sebbene vera, che si struttura come casting ad un gruppetto di uomini spagnoli, perlopiù culturisti (uno dei pochi a non esserlo avrà poi un piccolo ruolo in The Ornithologist, 2016), che potrebbero rappresentare fisicamente, e a loro completa insaputa (da quel che si evince sono stati chiamati lì senza ricevere particolari informazioni specifiche), il primo re del Portogallo, Alfonso Henriques detto il Conquistatore, un sovrano il cui aspetto, ad oggi, pare incerto e mitizzato, così recita la sinossi del film, nei secoli successivi. Il motivo per cui Rodrigues abbia voluto compiere questo strambo cortometraggio sfugge all’italiano scrivente, come sfugge, ad esempio, la scelta di provinare soltanto persone provenienti dalla Spagna. Ma ci saranno delle ragioni, presumo. Non sfugge, invece, un senso di forte antitesi che ipotizzo fosse in cima alla lista degli obiettivi del regista per cui grazie al bizzarro connubio uomo + sfondo green screen si genera un netto stridore visivo al quale si lega una faglia concettuale ancora più profonda: coloro i quali dovrebbero rappresentare una quasi leggenda sono degli individui volgarotti che faticano a leggere i brani a loro affidati.

Che João Pedro Rodrigues sia da sempre affascinato dal corpo maschile è un dato precedentemente assodato, qui, dove le possenti membra degli aspiranti Re si prendono il palcoscenico, poteva esserci il rischio di ridurre il settore-significati ad una ostentazione infondata di pettorali depilati, in realtà siamo parecchio lontani da un’esposizione fine a se stessa e d’altronde non c’era di che insospettirsi, il portoghese è un cavallo di razza e anche da un’ impasse teorica ne esce a testa alta per merito di un’ironia sottile che crea complicità con lo spettatore: i candidati non sanno il vero motivo del perché si trovano davanti ad una videocamera, mentre noi sì e ciò li rende ai nostri occhi goffi e, mi permettano, un filo stolidi in quanto si raccontano per quello che effettivamente sono, esseri umani in cerca di una continua e superficiale esteriorità, ma pur sempre uomini, lato che Rodrigues afferra e che risulta la possibile chiave di O Corpo de Afonso, chiaro che non c’è spazio per una ricerca introspettiva, ma le brevi testimonianze dei bellimbusti arrivano a far riflettere: a tratti ci percepiamo intellettualmente superiori, ma questo pallone gonfiato avrà mai letto un libro?, mentre a tratti troviamo dei punti di contatto che ci riportano ad un medesimo livello, e queste parentesi esistenziali sono quanto si ricorderà dell’opera, sicuramente più di Re Alfonso che legittimamente continuerà ad appartenere alla Storia.

Nessun commento:

Posta un commento