mercoledì 4 dicembre 2019

Jeannette: The Childhood of Joan of Arc

Non era impossibile che la strada artistica di Bruno Dumont incrociasse prima o poi la figura di Giovanna d’Arco, non lo era perché buona parte della filmografia firmata dal regista francese è scossa da una faglia sismica che ha ipocentro in concetti legati alla fede e alla spiritualità, non si è mai trattato di veri e propri manifesti pubblici, piuttosto di letture sottili su cui ragionare a dovere e su cui eravamo sempre in dovere di ragionare. Del recente percorso di Dumont si è scritto affrontandone i lavori degli ultimi cinque o sei anni, il sottoscritto non si è mai convinto appieno delle svolte intraprese arrivando a ritenere che la pellicola precedente a Jeannette, l’enfance de Jeanne d’Arc (2017), ovvero Ma loute (2016), rappresenti, ad oggi, il film più debole dell’intera carriera. Quindi, il fatto che ci sia stato un riavvicinamento a tematiche religiose (con tutto ciò che può voler dire) è già di per sé una buona notizia poiché Dumont sa trattare l’argomento da vero fuoriclasse nel panorama cineautoriale. L’altra faccia della medaglia è data però dall’approccio che ha deciso di utilizzare, dopo una vita fatta di austerità l’ex professore di filosofia ha improvvisamente aperto i battenti alla commedia per P’tit Quinquin (2014) e al già citato Ma loute, evidentemente non pago di siffatti registri per Jeannette ha alzato ulteriormente il tiro decidendo di esplorare un territorio che mai ci saremmo sognati di associare al suo nome: il musical. È una scelta coraggiosa perché di sicuro non parliamo di un genere capace di sedurre il pubblico, né il grande né quello di nicchia, tuttavia, parlando a titolo personale, è una decisione che ho apprezzato, non troppo nella sua riuscita globale quanto nell’idea che la sottende perché numero 1 non si può negare che il prodotto abbia scampoli di originalità e numero 2 qui la comicità miscelata con gli inserti musicali si dà in altre forme, più oblique e meno ordinarie.

Il set prende vita nella sua pressoché interezza in un paesaggio collinare piuttosto sabbioso che potrebbe benissimo essere la Palestina piuttosto che la Francia, l’introduzione della piccola Giovanna delinea da subito i connotati del film, la giovane protagonista entra di diritto nelle “illuminate” di Dumont volgendo il suo sguardo verso l’alto, verso lo stesso sole che accarezzava la Binoche di Camille Claudel 1915 (2013) e con lo stesso trasporto emotivo che scaturiva dai primi piani di Céline in Hadewijch (2009), certo è che quell’indagine sulla trascendenza in Jeannette non trova asilo, il motivo lo si deve al fatto che il taglio del musical si espande in ogni direzione possibile riempiendo anche quelle zone altrimenti oggetto dei nostri interrogativi. Vieppiù che il film sotto esame è sì un musical ma, fortunatamente, parecchio sui generis e, alla fin fine, lo struggimento personale di Giovanna, il sacro fuoco che le arde dentro, la devozione verso Dio e quant’altro può venire in mente in relazione a questa eroina, sono elementi che non si stagliano mai sull’apparato scenografico-formale edificato dal buon vecchio Bruno e dai suoi collaboratori. Forse mi sbaglierò ma l’impressione che si ha a visione ultimata è quella di un’opera più leggera rispetto a quanto prometteva, l’atmosfera generale è, in ogni frangente, tendente al grottesco, prova ne è che il nucleo calamitante dell’opera, la musica, stride con la cornice storica, ma di brutta maniera: si viaggia tra il rock e l’elettronica, ed anche i balletti non hanno nulla di ortodosso, sono volutamente ridicoli (c’è perfino un tizio che fa la dab!), moderni ma maldestri.

Di fronte a siffatto impianto le faccende di fede scivolano un po’ in secondo piano, e non è un delitto pensare a Jeannette in termini parodistici (a tal proposito va citato anche il bizzarro incontro con i tre santi), se non addirittura autoparodistici dove il primo a non prendersi sul serio sembra proprio Dumont stesso. A questo punto è obbligatorio chiedersi se una tale variazione sul tema che non dico azzardata però poco ci manca, possa soddisfare quel palato che, quando si parla di Dumont, ha ancora l’acquolina in bocca per il cinema che fu. La mia opinione è che ragionando in termini di aspettative si rimane immediatamente delusi, difficile aspettarsi di vedere un aggiornamento de L’umanità (1999), bisogna piuttosto accettare la voglia di prendersi dei rischi da parte di un autore che ci ha dato molto, e in Jeannette di rischi Dumont se ne assume in quantità, tanto che, detto fuori dai denti, il film è vicino ad affogare nella logorrea dei suoi dialoghi e nel susseguirsi di coreografie musicali che esauriscono presto il proprio fascino. A prescindere da ciò sono comunque moderatamente contento dell’esistenza di Jeannette: The Childhood of Joan of Arc, sebbene la sua fruizione non sia stata appassionante né mi abbia schiuso chissà quali porte teologiche, il messaggio che dà è quello di un Dumont intenzionato a non adagiarsi su formule improduttive e questo mi sembra un monito importante per l’avvenire.

Nessun commento:

Posta un commento