mercoledì 18 luglio 2018

Chuck Norris vs. Communism

Come già ampiamente ripetuto da queste parti, se c’è un Paese al mondo che ha saputo far confluire le sofferenze di una politica opprimente nel cinema, questo Paese è la Romania, e Chuck Norris vs. Communism (2015) è un altro tassello di quello che potrebbe definirsi come un auto-esorcismo incaricato di espellere i demoni depositati da Ceaușescu. Il motivo per cui la nazione in oggetto ha vissuto dagli anni duemila in poi una continua fioritura in campo cinematografico potrebbe essere proprio spiegato dal film di Ilinca Calugareanu, attiva principalmente come montatrice, che sviluppa e amplia un suo brevissimo documentario dal titolo VHS vs. Communism (2014); la Calugareanu, avvalendosi di interviste a persone che vissero sotto il regime e che forse oggidì lavorano nella settima arte (si riconosce chiaramente Adrian Sitaru e credo anche Corneliu Porumboiu), illustra di come al tempo dell’embargo gli unici esemplari di film che passavano in televisione erano di stampo propagandistico, al che, per mezzo di maglie non del tutto serrate, la circolazione di videocassette piratate iniziò a diffondersi nelle case dei rumeni che ipnotizzati dallo sfavillante mondo oltre la cortina di ferro potevano assaporare il progresso dell’occidente. Per tale ragione è dunque possibile vedere nello smercio clandestino di film la creazione di una scintilla che ha iniziato ad ardere solo dopo il 1989 nel petto di un Cristian Mungiu qualunque.

Gli stessi soggetti che compaiono in Chuck Norris vs. Communism affermano che il passaparola tra conoscenti, gli incontri furtivi per comprare le cassette e le visioni condivise nelle abitazioni di qualche fortunato in possesso di un videoregistratore, facevano sì che il guardare-un-film divenisse un atto di resistenza contro le opprimenti regole imposte dallo Stato. Ciò non può che suscitare un sentimento di romanticismo nel nostro cuore di fruitori visto che l’arte ha potenzialità che sanno andare oltre il mero consumo e che il cinema è una potente leva in grado di aprire la mente (pure Tom Hanks lo conferma date le sue opinioni in merito, vedi pagina di IMDb, link). Ad avvalorare una dimensione così importante nel contesto sociale dell’epoca, va rimarcato che le suddette visioni non erano ovviamente di qualità elevata poiché le VHS che si moltiplicavano in giro per la Romania perdevano smalto di copia in copia arrivando quasi a non essere più proiettabili e lasciando alla sempre attonita platea il compito fertilizzante di immaginare il resto. Ma soprattutto, e qui giungiamo all’aspetto più curioso della vicenda, non essendoci la possibilità di doppiare le opere in modo convenzionale, un uomo di nome Teodor Zamfir, un uomo-ombra ben inserito nei meccanismi del potere, assoldò Irina Nistor, già al lavoro con i prodotti iper-castrati dalla censura, per tradurre on air le battute degli attori americani. Il risultato, sebbene orribile per il nostro apparato uditivo, ha reso la signora Nistor una specie di idolo per migliaia di rumeni che la videro da sempre come una guida verso il mondo dorato: “per me non ha un corpo, è una figura, è un’entità, è La voce”. Insomma, di belle storie ce ne sono ancora da raccontare.

Il rovescio della medaglia è che ad un fine così lodevole pieno di bei propositi si coniuga una realizzazione un po’ furbetta che si avvale di molti soldi, oltre ottocentomila dollari (cfr. ancora la pagina IMDB), e di un tasso di professionalità sospettosamente sopra gli standard. Per dire, un Metrobranding (2010), che in fondo si occupava di argomenti molto simili, a confronto sfiora l’amatorialità, ad ogni modo la patina estetica che non lesina una plastificazione inopportuna ha una concentrazione intollerabile di finzione quando vengono ricreati alcuni episodi narrati dai veri personaggi [1]. Al pari degli inserti fittizi in Mea Maxima Culpa (2012) è fastidioso constatare la necessità da parte della Calugareanu di dover ricorrere ad un impianto di rappresentazione per poter veicolare le tematiche del suo film, è probabile che non lo si metta in conto ma agendo in tal maniera si sottostima chi guarda come se non riuscisse nemmeno ad immaginare una realtà ulteriore a quelle preconfezionate con attori, troupe e ciak. In un documentario che vuole ripercorrere la Storia non si avverte proprio la necessità di accrescere il messaggio con intensificazioni del genere, d’altronde non c’è niente di più acuto e penetrante del reale (le immagini d’archivio della folla sterminata di Bucarest e le parole di Ion Caramitru), The Autobiography of Nicolae Ceaușescu (2010) docet.
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[1] L’impacchettamento USA-style per farsi apprezzare oltreoceano è più di una supposizione, non per niente Chuck Norris vs. Communism è stato presentato al Sundance ’15 e successivamente in altri festival in giro per l’America. E non c’è da stupirsi, qui alla fine si celebra di brutto il cinema a stelle e strisce, per fortuna i registi rumeni della nuova generazione hanno poi preso strade diverse…

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