Come già ampiamente
ripetuto da queste parti, se c’è un Paese al mondo che ha saputo
far confluire le sofferenze di una politica opprimente nel cinema,
questo Paese è la Romania, e Chuck Norris vs. Communism (2015) è
un altro tassello di quello che potrebbe definirsi come un
auto-esorcismo incaricato di espellere i demoni depositati da
Ceaușescu.
Il motivo per cui la nazione in oggetto ha vissuto dagli anni duemila
in poi una continua fioritura in campo cinematografico potrebbe
essere proprio spiegato dal film di Ilinca Calugareanu, attiva
principalmente come montatrice, che sviluppa e amplia un suo
brevissimo documentario dal titolo VHS vs. Communism
(2014); la Calugareanu, avvalendosi di interviste a persone che
vissero sotto il regime e che forse oggidì lavorano nella settima
arte (si riconosce chiaramente Adrian Sitaru e credo anche Corneliu
Porumboiu), illustra di come al tempo dell’embargo gli unici
esemplari di film che passavano in televisione erano di stampo
propagandistico, al che, per mezzo di maglie non del tutto serrate,
la circolazione di videocassette piratate iniziò a diffondersi nelle
case dei rumeni che ipnotizzati dallo sfavillante mondo oltre la
cortina di ferro potevano assaporare il progresso dell’occidente.
Per tale ragione è dunque possibile vedere nello smercio clandestino
di film la creazione di una scintilla che ha iniziato ad ardere solo
dopo il 1989 nel petto di un Cristian Mungiu qualunque.
Gli
stessi soggetti che compaiono in Chuck Norris vs.
Communism affermano che il
passaparola tra conoscenti, gli incontri furtivi per comprare le
cassette e le visioni condivise nelle abitazioni di qualche fortunato
in possesso di un videoregistratore, facevano sì che il
guardare-un-film divenisse un atto di resistenza contro le opprimenti
regole imposte dallo Stato. Ciò non può che suscitare un sentimento
di romanticismo nel nostro cuore di fruitori visto che l’arte ha
potenzialità che sanno andare oltre il mero consumo e che il cinema
è una potente leva in grado di aprire la mente (pure Tom Hanks lo
conferma date le sue opinioni in merito, vedi pagina di IMDb, link).
Ad avvalorare una dimensione così importante nel contesto sociale
dell’epoca, va rimarcato che le suddette visioni non erano
ovviamente di qualità elevata poiché le VHS che si moltiplicavano
in giro per la Romania perdevano smalto di copia in copia arrivando
quasi a non essere più proiettabili e lasciando alla sempre attonita
platea il compito fertilizzante di immaginare il resto. Ma
soprattutto, e qui giungiamo all’aspetto più curioso della
vicenda, non essendoci la possibilità di doppiare le opere in modo convenzionale, un uomo di nome Teodor Zamfir, un uomo-ombra ben
inserito nei meccanismi del potere, assoldò Irina Nistor, già al
lavoro con i prodotti iper-castrati dalla censura, per tradurre on
air le battute degli attori
americani. Il risultato, sebbene orribile per il nostro apparato
uditivo, ha reso la signora Nistor una specie di idolo per migliaia di
rumeni che la videro da sempre come una guida verso il mondo dorato:
“per me non ha un corpo, è una figura, è un’entità, è La
voce”. Insomma, di belle storie ce ne sono ancora da raccontare.
Il
rovescio della medaglia è che ad un fine così lodevole pieno di bei
propositi si coniuga una realizzazione un po’ furbetta che si
avvale di molti soldi, oltre ottocentomila dollari (cfr. ancora la
pagina IMDB), e di un tasso di professionalità sospettosamente sopra gli standard.
Per dire, un Metrobranding
(2010), che in fondo si occupava di argomenti molto simili, a
confronto sfiora l’amatorialità, ad ogni modo la patina estetica
che non lesina una plastificazione inopportuna ha una concentrazione
intollerabile di finzione quando vengono ricreati alcuni episodi
narrati dai veri personaggi [1]. Al pari degli inserti fittizi in Mea Maxima Culpa (2012) è
fastidioso constatare la necessità da parte della Calugareanu di
dover ricorrere ad un impianto di rappresentazione per poter
veicolare le tematiche del suo film, è probabile che non lo si metta
in conto ma agendo in tal maniera si sottostima chi guarda come se
non riuscisse nemmeno ad immaginare una realtà ulteriore a quelle
preconfezionate con attori, troupe e ciak. In un documentario che
vuole ripercorrere la Storia non si avverte proprio la necessità di
accrescere il messaggio con intensificazioni del genere, d’altronde
non c’è niente di più acuto e penetrante del reale
(le immagini d’archivio della folla sterminata di Bucarest e le
parole di Ion Caramitru), The Autobiography of Nicolae Ceaușescu (2010)
docet.
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[1]
L’impacchettamento USA-style per farsi apprezzare oltreoceano è
più di una supposizione, non per niente Chuck Norris
vs. Communism è stato presentato al Sundance ’15 e
successivamente in altri festival in giro per l’America. E non c’è
da stupirsi, qui alla fine si celebra di brutto il cinema a stelle e
strisce, per fortuna i registi rumeni della nuova generazione hanno
poi preso strade diverse…
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