Con un curriculum
impreziosito dalla collaborazione insieme a Sokurov per Arca russa
(2002) e dal quale ha estratto il breve documentario Ostrova.
Alexander Sokurov (2003), Svetlana Proskurina giunge al suo
ottavo film con l’intenzione di inscenare un racconto di formazione
al confine tra realtà e grottesco, perché Peremirie
(2010) vorrebbe essere questo solo che più si va avanti nella
proiezione e più i punti di domanda proliferano, si
ingigantiscono, sbaragliano ogni minimo tentativo razionale di cucire
i vari avvenimenti che capitano a Egor (è Ivan Dobronravov,
protagonista de Il ritorno, 2003), tanto che la costruzione
episodica della storia appare come il male incurabile della
pellicola, e ciò lo si può evincere già
dall’incipit in cui vengono illustrate situazioni poco influenti
per il prosieguo (il fatto che l’amico perda il dito è
dovuto probabilmente alla necessità che Egor compia il suo
viaggio da solo, ma nella parte ambientata nell’ostello succedono
altre cose che il sottoscritto ha trovato ampiamente superflue), e
con il dispiegarsi della trama le digressioni non mancano: subito
vediamo Egor gettarsi in un campo dove dei militari compiono delle
esercitazioni, così, senza motivazioni, né prima del
gesto né dopo; è solo l’inizio: giungendo in un
paesino sconosciuto il film perde le coordinate per abbandonarsi ad
un flusso irreale dove il ragazzo incontra persone a lui care
dell’infanzia e dove la cifra aneddotica prende il sopravvento,
viene smarrita la linea narrativa che si macchia di incomprensibili
frettolosità (l’incontro con la ragazza scelta nella sauna),
e si tentano passaggi arditi come quello della resurrezione che è
sì intrigante ma troppo fine a se stesso, piazzato lì
senza che venga ripreso dopo; e se in tale frangente mi si parla di
una visione allegorica della vita/morte come passaggio ad un’età
successiva ci posso anche credere a patto che dietro al prodotto vi
sia un’idea commestibile, architettata, Pensata.
Grande rispetto e devozione nei confronti del cinema russo, però qui, almeno secondo chi scrive, si scade in un pasticciaccio da dimenticare seduta stante.
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