Korova (1990) è,
stando agli archivi di IMDb, il secondo lavoro di Aleksandr
Petrov (il primo, Marfon [1988], pare sia il suo diploma accademico), animatore russo che evidentemente ha portato avanti fin dagli
albori il proprio credo artistico: anche qui come per Il vecchio e il mare (1999) e Moya lyubov (2006) lo spunto di partenza
è fornito dalla letteratura (questa volta la fonte è lo
scrittore Andrej Platonov scomparso nel 1951) e anche qui lo stile di
Petrov è nuovamente caratterizzato da un’idea di pittura in
movimento destinata a colpire la sensibilità estetica di chi
assiste al film. Trattandosi di un esordio si percepisce che la
tecnica utilizzata dal regista non è ancora quella che poi
sarà in futuro, in generale c’è più sporcizia
e meno definizione sullo schermo, ma soprattutto si pecca sul
versante della dinamicità e della fluidità dei
movimenti umani che appaiono alla vista molto farraginosi, sfumati
per non dire fumosi, moviolistici, privi di un’armonia anatomica. A
ripianare un “buco” visivo del genere ci pensa però la
solita intensità di Petrov che ostenta i suoi virtuosismi
aggrazianti fin dall’inizio dove si dimostra già un
tessitore d’atmosfere di primo livello (la visita notturna al
vitellino è una meraviglia) e sempre propenso ad inoculare nel
racconto digressioni oniriche dove prorompe quella vorticosa fantasia
che lo contrassegna.
Accantonando l’abito di
Korova e concentrandoci su ciò che dice si può
convenire con il sottoscritto che rispetto agli altri due corti
sopramenzionati quello sotto esame ha, forse, e a sorpresa devo dire,
anche un minimo di consistenza sotto la fastosissima patina
ornamentale. La storia proposta, sebbene di una semplicità
palese, si interessa di più aspetti di quanto possa sembrare
in apparenza: la benevolenza del bimbo verso la vacca, il sentimento
di quest’ultima nei confronti del proprio vitello, la presenza
dell’uomo trasfigurata nel ruggito della locomotiva/aratro, e
dulcis in fundo una chiusura espressa dalla voce over del piccolo che
ha la grande qualità di non tentare la carta pietista in
favore di un’esposizione lineare, sincera, anche cinica se
vogliamo, riconoscente sopra ogni cosa.
A parlare di Petrov si
rischia sempre di ripetersi, la ligia ottemperanza al codice
pittorico-creativo da lui usato implica una scarsa variazione degli
esemplari partoriti dalla sua mente, sono tutti carucci i
cortometraggi che produce, romantici, nostalgici, eccetera,
l’impressione però è che possano funzionare
esclusivamente in uno spazio limitato come quello di uno short,
pensare ad un’ora e mezza di metodo petroviano risulta arduo.
Se tale riflessione sia da annoverare tra i difetti non lo so, chi ne
ha voglia ci pensi un po’ su.
T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
RispondiEliminaDi vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi.
ecc, ecc
(Il caro Giosuè con l'amichevole partecipazione di Stefano Belisari)