mercoledì 18 novembre 2015

Les états nordiques

Un uomo uccide una donna in stato vegetativo e si rifugia a Radisson, cittadina del Quebec.

Debutto di Denis Côté e già si intravedono segnali beneauguranti: anche in questo primo film la tendenza è quella di caricare l’ambiente di un’importanza decisiva, non sfondo ma fondo, base, piedistallo che regge i movimenti concettuali del regista. Tutto il cinema di Côté trova essenza nella provincia, nelle storie ruvide e periferiche di esseri umani obbligati a rapportarsi con un territorio silenzioso e indifferente ai problemi che appesantiscono il loro vivere. Per quanto visto fino ad oggi è Curling (2010) l’apice di tale percorso artistico, ciò non toglie che anche i film precedenti abbiano voce in capitolo nonostante le comprensibili cadute, e Les états nordiques (2005) è un manifesto concreto di quanto si sta dicendo, la vicenda del protagonista è infatti esemplare: lo spostamento che compie verso un paese dimenticato dal Signore è lo stesso che compierà più volte Côté nella carriera che da lì a poco edificherà film dopo film, e c’è da evidenziare che proprio il canadese si prende delle belle responsabilità pur proponendosi come esordiente, ha coraggio, e ce lo suggerisce girando una mezz’ora di pressoché totale mutismo, affidandosi ad un minimalismo che nel giro di poco riesce a intonare la litania triste di una condanna (dietro a quel bip-bip ci sono almeno due vite distrutte, e un Cristo troppo piccolo per poter lenire il dolore con il suo sacrificio), giungendo al vertice drammatico (nel fuori campo) dopo neanche dieci minuti, per proseguire poi con una straniante varietà tecnica che contempla rantolante camera digitale a mano, interviste documentaristiche, estasianti riprese panoramiche ricolme di terra, erba, acqua, vento e così via.

La strategia di Côté si fa evidente con la progressiva intromissione di Christian all’interno della comunità quebechiana, chiaramente l’esposizione di Côté non è diretta allo spettatore con la pancia piena bensì a quello che ha fame di vedere-altro, per cui è necessario prepararsi ad affrontare un ritmo sottommesso da una narrazione che non si interessa di concatenare eventi e contenuti preferendo un’estemporaneità dei fatti che solo attraverso un’osservazione d’insieme prende una consistenza globale, perché ogni episodio di ordinaria quotidianità (le nuotate in piscina, la sbronza al pub, la gita di pesca) all’interno di Les états nordiques segna i piccoli passi in avanti di un uomo che, semplicemente, deve ricostruirsi, che deve riabilitarsi e reintrodursi nel mondo, che deve ripulire la coscienza (due paradossi: Radisson è una città che convive con l’acqua vista la presenza di una centrale idroelettrica; Christian trova lavoro come netturbino), e in un cinema-collage di tal fatta il regista è capace di instillare argomenti di più ampia portata, quasi universali, esplicitati dalle affermazioni degli studenti che pur essendo slegate dal film ovviamente ne fanno parte diventando la Voce sfaccettata di un pensiero comune, un pensiero riguardante Christian che uno spietato Côté prima illude e poi affonda con l’ultima inaspettata scena.
Seguite, seguiamo Denis Côté, è uno bravo.

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