Un uomo uccide una donna
in stato vegetativo e si rifugia a Radisson, cittadina del Quebec.
Debutto di Denis Côté
e già si intravedono segnali beneauguranti: anche in questo
primo film la tendenza è quella di caricare l’ambiente di
un’importanza decisiva, non sfondo ma fondo, base, piedistallo che
regge i movimenti concettuali del regista. Tutto il cinema di Côté
trova essenza nella provincia, nelle storie ruvide e periferiche di
esseri umani obbligati a rapportarsi con un territorio silenzioso e
indifferente ai problemi che appesantiscono il loro vivere. Per
quanto visto fino ad oggi è Curling (2010) l’apice di
tale percorso artistico, ciò non toglie che anche i film
precedenti abbiano voce in capitolo nonostante le comprensibili
cadute, e Les états nordiques (2005) è un
manifesto concreto di quanto si sta dicendo, la vicenda del
protagonista è infatti esemplare: lo spostamento che compie
verso un paese dimenticato dal Signore è lo stesso che
compierà più volte Côté nella carriera che
da lì a poco edificherà film dopo film, e c’è
da evidenziare che proprio il canadese si prende delle belle
responsabilità pur proponendosi come esordiente, ha coraggio,
e ce lo suggerisce girando una mezz’ora di pressoché totale
mutismo, affidandosi ad un minimalismo che nel giro di poco riesce a
intonare la litania triste di una condanna (dietro a quel bip-bip ci
sono almeno due vite distrutte, e un Cristo troppo piccolo per poter
lenire il dolore con il suo sacrificio), giungendo al vertice
drammatico (nel fuori campo) dopo neanche dieci minuti, per
proseguire poi con una straniante varietà tecnica che
contempla rantolante camera digitale a mano, interviste
documentaristiche, estasianti riprese panoramiche ricolme di terra,
erba, acqua, vento e così via.
La strategia di Côté
si fa evidente con la progressiva intromissione di Christian
all’interno della comunità quebechiana,
chiaramente l’esposizione di Côté non è
diretta allo spettatore con la pancia piena bensì a quello che
ha fame di vedere-altro, per cui è necessario
prepararsi ad affrontare un ritmo sottommesso da una narrazione che
non si interessa di concatenare eventi e contenuti preferendo
un’estemporaneità dei fatti che solo attraverso
un’osservazione d’insieme prende una consistenza globale, perché
ogni episodio di ordinaria quotidianità (le nuotate in
piscina, la sbronza al pub, la gita di pesca) all’interno di Les
états nordiques segna i piccoli passi in avanti di un uomo
che, semplicemente, deve ricostruirsi, che deve riabilitarsi e
reintrodursi nel mondo, che deve ripulire la coscienza (due
paradossi: Radisson è una città che convive con l’acqua
vista la presenza di una centrale idroelettrica; Christian trova
lavoro come netturbino), e in un cinema-collage di tal fatta il
regista è capace di instillare argomenti di più ampia
portata, quasi universali, esplicitati dalle affermazioni degli
studenti che pur essendo slegate dal film ovviamente ne fanno parte
diventando la Voce sfaccettata di un pensiero comune, un pensiero
riguardante Christian che uno spietato Côté prima illude
e poi affonda con l’ultima inaspettata scena.
Seguite, seguiamo Denis
Côté, è uno bravo.
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