domenica 8 novembre 2015

Knifer

A causa di un lutto Nikos si trasferisce a casa dello zio che gli offre un lavoretto, qui la zia si rivela insofferente e pronta a “nuove esperienze”…

Ogni tanto l’eterno dilemma del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno si ripresenta con tutta la sua indeterminatezza: nel tirare le somme di un film come Macherovgaltis (2010) si profila l’idea (almeno quella del sottoscritto) che il giudizio complessivo resti imbrigliato in un limbo da cui è difficile estrapolare una sentenza del tutto positiva o del tutto negativa; il regista cipriota Yannis Economides, uno che si divide tra regia e recitazione (è stato anche attore di Lanthimos), si impegna nel dare alla sua opera una conciatura estetica non di routine e per questo insiste molto su campi panoramici che suggestionano: fin dalle prime battute, con le riprese di una zona industriale, lo scenario è cupo, fuligginoso, annerito, e come di riflesso la poca trasparenza si ripercuote sull’indolente Nikos che passa le sue giornate davanti alla tv o a fare l’idiota con gli amici, in più Economides procede per sottrazione scarnificando i dialoghi e piazzando un paio di ellissi temporali che non appesantiscono la narrazione di superflue spiegazioni. Tali elementi, a cui va aggiunto un tocco naif come il passaggio di una scena dal b/n al colore, sono calibrati sufficientemente bene per dare un tono “autoriale” alla pellicola. L’impressione è che ci sia ancora parecchia strada da fare per il regista ma se si guarda il film in questi termini il bicchiere è mezzo pieno.

Con l’arrivo di Nikos in casa dello zio si aprono ulteriori scenari su cui è lecito apporre dei dubbi; il palesarsi del nucleo filmico con la relazione adulterina tra il nipote e la zia (si può rintracciare molto vagamente un rimando a Peckinpah anche se in Rete si dice che la vera fonte di ispirazione sia il film di Angelopoulos Ricostruzione di un delitto, 1970) rende Knifer un’opera abulica che getta sul tavolo almeno due o tre tracce senza che ne consegua un degno sviluppo; c’è un vago spirito socio-ritrattista a cui manca profondità: la radiografia della Grecia come sottotesto è un topic sì intuibile ma poco incisivo (e non basta il finale a sottolineare l’immunità del colpevole), e soprattutto c’è una costruzione dei rapporti umani fallace nonché una caratterizzazione di quello che dovrebbe essere il “cattivo” (lo zio) non esattamente riuscita, infatti l’avvicinamento tra Nikos e Gogo, segnato tra l’altro da una caduta di stile (lei che lo sorprende a masturbarsi in bagno), con annesso odio immediato verso Alekos, non ha fondamenta solide visto che lo stesso zio più che un carnefice è una vittima in balia di delinquenti albanesi, certo non risulta un tipo simpatico ma considerare la sua detestabilità come movente per l’omicidio appare un pretesto fragile, cosiccome lo è l’idea che sia l’amore tra i due ad averli spinti all’efferato gesto.

Insomma la questione per chi scrive è messa così, comunque sia l’operato di Economides ci mostra un altro tassello di questo strano mosaico greco che negli ultimi anni è andato a formarsi film dopo film, di certo nella scuderia ellenica ci sono pellicole ben più imprescnindibili.

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