lunedì 22 febbraio 2010

Perdizione

Karrer è un uomo che ha perso tutto, anche la voglia di vivere. Passa le giornate a fissare i carrelli della teleferica dal suo appartamento nella speranza che un secondo dopo impazzisca per sempre. Invece costringe se stesso a vagare senza meta per finire sempre nel medesimo locale. Infatuato della cantante che lavora nel bar, Karrer cerca di invischiare il marito in un losco affare per approfittare della donna. Ma nonostante riesca nel suo intento, alla fine sarà lui a subire la con-danna più pesante.

Visione tortuosa, letargica, cupa. Difficile.
Meglio partire dalle certezze: Béla Tarr abbandona quasi del tutto i dialoghi corposi che fino a Kárhozat (1988) avevano caratterizzato il suo cinema, lasciando di torrenziale solo una pioggia biblica che non abbandona mai la scena. L’atmosfera perennemente pumblea che dà un tono diroccato alle vie infangate della cittadina, ad un passo dallo sfacelo, simili a quelle di Totò che visse due volte (1998), è in totale sintonia con le miserie umane che si consumano sullo schermo.
E Tarr è lì, sornione, che riprende tutto. I movimenti della sua macchina sono lentissimi, si spostano su un asse orizzontale che occupa lo spazio massimo a disposizione. L’obiettivo non si focalizza sugli attori di cui spesso sentiamo solo la voce fuori campo, ma scorre placido alle spalle di colonne che rivelano esseri umani statici, imperturbabili. Ecco, un aggettivo che mi verrebbe da attribuire a Damnation è “congelato”. Il regista magiaro sospende a mezz’aria il tempo filmico la cui contestualizzazione è un procedimento impossibile da attuare: dove si svolge la vicenda? Quando? Potrebbe essere in qualunque luogo, in qualunque momento.

Se dalla claustrofobia alienata di Almanac of Fall (1985) alla desolazione pur sempre alienante di questa pellicola il salto è ardito ma vale la pena provarlo, dal punto di vista dei contenuti Tarr dimostra una complessa maturazione lasciando molto al non detto in favore di immagini che sembrano cartoline metafisiche provenienti dall’inferno o zone limitrofe. Il salto, ‘sta volta, è ancora più arduo perché l’assenza di una qualsiasi forma di ritmo potrebbe spazientire anche lo spettatore più avvezzo ad un certo tipo di cinema.

In fin dei conti si può dire che Perdizione sia un film che richiede un’attenzione costante dove i significati sono dati più dalla mdp che dalla storia rappresentata. Avventurarsi in questo mondo fradicio e dannato è un’esperienza. A tratti visivamente soddisfacente, a tratti semanticamente disagevole. Difficile, appunto.

6 commenti:

  1. stai per arrivare ai capolavori..l'acqua in tarr è elemento essenziale,..non banale presenza scenografica,come in film alla blade runner..

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  2. E sì, adesso Satantango. Sono un po' spaventato dalla durata, devo dire...

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  3. io non ho ancora iniziato nulla :/ mi sono dedicato più a Sokurov.

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  4. Com'è?
    Dalle immagini mi è sempre sembrato bello tosto, non che Tarr non lo sia...

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  5. Si i suoi film sembrano dei quadri... guarda assolutamente "The second circle" mi è piaciuto in maniera particolare.

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  6. non è facile recensire questi film...questo a me ha pesato come un mattone...bella recensione comunque, rende l'idea.

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