venerdì 5 febbraio 2010

L'infinito spazio

Ti vedo strana questa sera.
Forse è quella scollatura che attira troppi sguardi indiscreti costringendoti a sistemare con finta disinvoltura le spalline del vestito, o forse sono i miei occhi che quelle spalline le tirerebbero giù volentieri. Ma non ti preoccupare, sei bella come sempre, anzi, sei bella da sempre. L’ho capito subito, da quella volta che ci siamo sfiorati sulla porta del bagno, ti ricordi vero? Io avevo accompagnato lì dentro una mia amica che aveva bevuto un po’ troppo, tu stavi entrando per fumarti una sigaretta di nascosto. In quel piccolo corridoio i nostri corpi si sono accarezzati come due labbra di zucchero, ho assaporato la scia del tuo profumo che ha inebriato i miei sensi scolpendo per sempre nella memoria quell’istante.
Ci pensi? Un istante. È bastato solo un battito di ciglia, lo schiocco di due dita, il salto invisibile di un gatto, la caduta di un equilibrista. Un istante, e non ti ho dimenticata mai più.
Passai giorni e giorni a cercarti in città, chiesi in giro se qualcuno sapeva chi eri, come ti chiamavi, dove vivevi, e se una settimana dopo non ti avessi vista di nuovo qui, avrei pensato seriamente che eri soltanto un dolce frutto della mia immaginazione.
Certo, vederti solo al sabato sera non è facile. Ti direi che vivi sempre nei miei sogni ed abiti sempre nei miei pensieri, ma non è come averti qui, a un passo da me.

A volte immagino che tutta la gente intorno che beve, balla, urla e si dimena, scompare, e dalle casse del locale fuoriesce una canzone che nessuno può sentire, a parte noi due. E allora il mio sguardo sale in alto, ruotando come una telecamera intorno a noi che balliamo la nostra melodia, delicati, leggeri, innamorati.
Poi tutto torna come prima.

Non so se sia più fastidiosa l’indifferenza della gente che balla perché non sa fare altro, o quel tipo che in questo istante ci sta provando con te sostenendo di averti incontrata tempo prima ad una festa.

Ho fatto un sogno, più volte. Ho sognato di alzarmi da questo divanetto e con due semplici passi di sederti accanto. E poi niente, chiederti il nome, la tua età, dove abiti, cosa ti piace, magari sentire la tua voce, averti vicina. Ma ora e sempre questi tre metri che ci separano sono infiniti e freddi come lo spazio, profondi come l’universo e tutto quello che ci sta dentro.

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