lunedì 29 maggio 2023

Toublanc

La seconda chance che diamo a Iván Fund dopo Vendrán lluvias suaves (2018) è Toublanc (2017), un film che pare tragga linfa dalle opere dello scrittore Juan José Saer (infatti vedremo nella diegesi una copia di Cicatrices, libro pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera) e che sullo schermo si compone in una duplice narrazione, tra la Francia e l’Argentina, tra un ispettore che indaga su un omicidio e una insegnante di francese alle prese con una vita solitaria, nel mezzo, o sopra, sotto, ovunque: un cavallo. L’approfondimento sul cinema di Fund ci sgombera qualche perplessità, questo regista è interessato alle forme che in quanto tali può imprimere nel cinema, si vede, si percepisce, e una attenzione del genere si riverbera in un taglio molto d’essai, dilatato come quasi lo sono certi lavori orientali (sarà il ritratto mesto e appartato di Clara, ma c’è odore di Tsai Ming-liang da qualche parte), concentrato sull’inessenziale (il lungo preambolo mattutino su Toublanc), intriso di una antiletteralità che non avvalla facili accessi, narciso nell’ornarsi di vezzi estetici non proprio ordinari (lo split screen che aumenta quest’idea di doppiezza). Di ribollio nella pentola di Fund ce n’è, ovvio che risulta necessario avere un po’ di confidenza verso manifestazioni artistiche così (ma nemmeno troppa, non allarmatevi), una volta stabilita la frequenza giusta potrebbe anche sorgere una timida approvazione, soprattutto se lo si rapporta a Vendrán lluvias suaves che associava alla sottrazione un condimento marcatamente (e saramaghiamente) allegorico che in Toublanc, asciutto e laconico, non è presente (ad esclusione della presenza equina, forse).

Qualcuno potrebbe obiettare sull’assenza di una congiuntura delle due storie raccontate, l’indipendenza della sezione di lui e di quella di lei è un dato di fatto, sono parallele che in un’ottica razionale non si incontreranno mai. Però se Fund ha un merito, e a mio avviso ce l’ha abbastanza, sta nell’aver saputo trovare una coesione, una fluidità avvicinando due segmenti che, seppur non conciliabili, alla fine sembra che si sfumino a vicenda, l’uno nell’altro. Una piccola connessione la si può rintracciare nella lingua francese che riduce la distanza atlantica, ma è poco se si ha la sensazione che ci sia di più, che si tocchi una sfera non tangibile, non scritta, Toublanc fa sì che in uno spazio filmico si possa verificare una coesistenza che vive di epifanie, di velato onirismo, di specchi. Il procedimento ludico di duplicazione che Fund usa è un collante che amalgama, alcune scene sono gemelle: Toublanc e Clara sull’autobus, talune rovesciate: Toublanc interroga, Clara è interrogata dalla polizia, in generale il legame che si profila tra l’uomo e la donna, tra i loro due mondi, diventa un credibile tutt’uno, e il sentimento che svetta in assoluto, che li rende le celeberrime facce di una stessa medaglia coniata con un materiale fosco, è la solitudine. Ecco, il tratto realmente unificante, il punto di convergenza della pellicola e dei suoi protagonisti è la solitudine che essuda da una quotidianità casalinga, da un amore senza direzione (l’ultimo primo piano di Clara: piange), da una vacua investigazione malinconica. Caro Fund, dopo Toublanc, se ce ne sarà occasione, ascolterò ancora ciò che hai da dire.

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