Un’ambiguità sì e no strisciante caratterizza la pellicola (nell’incipit, quando ancora non si sa quale sarà l’impiego di Fiona, si crea una tensione che però perderà nerbo col passare dei minuti) coniugata ad uno stress sessuale che, attraverso episodi un po’ così (sia con la madre che col padre), sembra sempre sul punto di esplodere, in tale area para-erotica la sequenza migliore vede Fiona seguire la figlia col fidanzato in uno scantinato con la mdp che si e ci getta in una stanza immersa nel buio. Ancora il “già visto” fa capolino con insistenza, di nuclei famigliari con più di una rotella fuori posto il cinema recente e non ne è pieno zeppo, alla Krummacher non le avremmo chiesto di essere la risposta teutonica a Lanthimos però il scivolare in un anonimo torpore non è la fine che si auspicava per il lungometraggio. Dell’impianto critico rivolto alla società e alle cellule che la compongono non mi sento di esprimere niente di particolare perché siamo lontani da un ritratto all’arsenico, gli squilibri della moglie, quelli del genitore, la strana relazione dell’adolescente Nicole con un ragazzo più grande di lei, sono unità che non riescono a spaccare lo schermo in due, è roba priva di qualunque carica incendiaria. Deboli sussulti per: due finestre introspettive di Fiona che ragiona sul presente e sul futuro, l’apparizione dello scorpione anticipata dal racconto di Jürgen e il fotogramma conclusivo che soffia un’ombra funerea sulla vicenda (oltre al costituirsi in una forzatura narrativa, ma è solo una mia opinione). Dodici anni fa erano dodici anni fa, eravamo diversi, cercavamo altro, forse si sarebbe creato un legame, un interesse, un feeling, adesso no caro Totem, adesso no.
sabato 13 maggio 2023
Totem
Credo
di aver segnato Totem
(2011) nella mia wishlist all’epoca della sua presentazione a
Venezia ’11, poi, come accade per molti film non rintracciabili,
l’avevo accantonato fino a quando, per puro caso, mi è ricapitato
tra le mani. La questione fondamentale da cui non si scappa è il
lasso di tempo intercorso, dodici lunghi anni dove il cinema, in
quanto arte, è cambiato, e dove anche io, in quanto essere umano,
sono cambiato. Con gli occhi di due lustri più giovani magari a
questo esordio firmato dalla tedesca Jessica Krummacher (una regista
che è ritornata a girare soltanto nel 2022 con Zum
Tod meiner Mutter) avrei visto il tutto
con una maggiore benevolenza, ma adesso, dopo un numero di visioni di
cui ho perso il conto, non riesco proprio a vedere in Totem
qualcosa che lo possa inserire nella categoria dei “buoni film”.
Per darvi delle coordinate, e per farvi comprendere di come il
terreno nel frattempo sia già stato ampiamente calpestato da altri
autori, il film si snoda all’interno di un’abitazione borghese
mitteleuropea nella quale risiede una famiglia dai tratti
disfunzionali (il benvenuto a Fiona: i bambolotti da accudire).
L’orbita compiuta dall’opera è quindi hanekiana e se ci vogliamo
infilare pure Seidl non si bestemmia di certo, in aggiunta, ma è più
che altro una suggestione del sottoscritto, alcuni frangenti
leggermente staccati dalla routine casalinga (l’addentrarsi nelle
frasche; i passaggi nel tunnel abbandonato) riportano ad un approccio
di scuola francese alla
Ozon o alla Guiraudie, con ovviamente i necessari distinguo del caso.
Comunque, pur mettendoci il massimo dell’impegno, è difficile
trovare elementi che spiccano, la sensazione di déjà
vu è purtroppo davvero forte.
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