mercoledì 24 maggio 2023

Adiós entusiasmo

Del lanthimosiano che c’è in Adiós entusiasmo (2017) ha scritto bene l’ottimo Il tempo impresso (link) con il quale mi sento di condividere il ragionamento che attraverso il confronto con Dogtooth (2009) porta al giudizio globale, tuttavia, fidandoci di una stringata informazione che ho trovato su un sito basco (ri-link), la fonte di ispirazione del principalmente attore Vladimir Durán sarebbe un documentario spagnolo del 1976 intitolato El desencanto. Sia quel che sia, l’esordio nel lungometraggio di questo regista colombiano (ma il film è tutto argentino) ha delle cose che all’incirca funzionano, su tutte quella di non affidare se stesso esclusivamente ad una narrazione consequenziale, all’interno dell’appartamento sussiste una condizione di stasi che non fa procedere né regredire, uno stagnamento dal carattere claustrofobico (ma tranquilli, di ossigeno ce n’è eccome, sono altre le visioni da apnea), e pur essendo io conscio che si poteva fare di più, che Durán aveva le carte in regola per risultare maggiormente incisivo se avesse lasciato in secondo piano la mera sceneggiatura, l’atmosfera da Kammerspiel spagnoleggiante, per abusare di litote, non è male. Come non è altrettanto male la scelta di scansare la metafora manifesta (problema che col tempo ho ravvisato nel cinema di Lanthimos & soci), se il micro-cosmo casalingo allestito ha un significato al di là della rappresentazione è meno evidente e meno diretto di quanto si pensi, la famiglia disfunzionale di Durán è abbastanza libera da paralleli e allegorie sociologiche (certo, potrebbe essere – o forse è – anche una sua debolezza, ma dopo le indigestioni di ondate greche per me va bene così), la madre vive separata dai figli per motivi sconosciuti (o giusto accennati) e sforzarmi a leggere dell’altro dietro tale segregazione è un’azione che non mi va di compiere.

Arrivati alla fine si percepisce comunque un senso di incompiuto, di potenziale inespresso. È come se l’opera flirtasse con una dimensione astratta senza però avere mai il coraggio di buttarcisi a capofitto, nel limbo realistico che si dispiega in formato panoramico sullo schermo capiamo che al regista interessa mettere a punto un sistema femmineo-centrico dove gli uomini sono assenti (i padri, non pervenuti) anche se presenti (i due fidanzati, idem), ad eccezione del piccolo Axelito che infatti avrà una parte decisiva nelle battute finali (è lui che squaderna varie verità sulle sorelle nel gioco di ruolo tra i partecipanti alla festa ed è ancora lui ad oltrepassare il confine nel bagno), l’inscenare un habitat muliebre del genere in contrapposizione all’assenza fisica della mamma, è una raffigurazione che rimane nel suddetto campo, è un disegno, un quadretto che si osserva con distacco. Sicuramente si è visto molto di peggio ma a furia di adagiarci su frasi fatte si finisce per fornire alibi a produzioni che invece di puntare all’eccellenza si accontentano di galleggiare nell’oceano dell’autorialità, non che codesto mare sia un’infima pozzanghera, però è talmente pieno di imbarcazioni che raggiungono un sufficiente livello qualitativo da spingerci a desiderare film che sanno inabissarsi verso il fondo o magari decollare verso il cielo, Adiós entusiasmo staziona sulla linea di un ben noto orizzonte, a voi le conclusioni.

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