giovedì 14 gennaio 2021

Walk with Me

È un incontro di latitudini diverse Walk with Me (2013), precisamente la Danimarca, patria di Johan Oettinger, animatore classe ’84, e l’Uganda, terra natia di Peter Muhumuza Tukei, fotografo, pittore nonché regista d’animazione, una crasi artistica a cui lo spettatore si può abbandonare senza grossi rimorsi per tutti i suoi dodici minuti di durata. L’azione che va compiuta non è tanto quella della comprensione (il corto si chiude spavaldo con la frase “did you understand anything?”) quanto l’ammirazione, nel suo piccolo, dell’impulso estroso che concretizza l’opera. Il titolo va inteso come un manifesto di intenti pronunciato dalla bimba protagonista, dobbiamo camminare con lei in un sentiero che si intrufola negli alvei dell’immaginazione, il cielo è purpureo (valido l’impatto visivo delle nuvole viola), la testa di una bambola si fonde ad una scarpa per tramutarsi in una macchinina artigianale mentre un’altra testa, ’sta volta piumata, svolazza per l’aere con a cavalcioni l’aspirante ballerina, ed attraverso tali esempi di smaccata surrealtà, ai quali si aggiunge necessariamente una specie di zona desertica che ha un qualcosa di daliniano con la riproduzione animata della bambina, il cinema del giovane duo risponde con ritmo e tatto cromatico (colpisce il puzzle di barattoli colorati), nonostante l’obiettivo sia introspettivo le frequenze non hanno nulla di intimo o personale, ne perde lo “spessore” ci guadagna lo “spettacolo”.

Esaminando in maniera più accorta il film è possibile rintracciare un evento-sorgente che detta una certa linea, l’episodio è sfuggente ma ricorsivo, sembra che la morte, o presunta tale, della capra, assuma lo status di simbolo dark nell’immaginario infantile e quasi candido inscenato da Oettinger & Muhumuza, l’ispirazione dei registi si parifica, forse, allo sforzo fantasioso della bimbetta che arriva a recuperare il cadavere dell’animale coricato in quel deserto di cui sopra, il quale deserto, allora, diviene una sorta di limbo astratto, mentale, al confine tra il sé e l’oltre sé. Non male. Peccato per uno score invadente che a tratti fa sconfinare la proiezione nel videoclip, risultato legittimo che però chi scrive non digerisce in toto, preferisco che sia il mondo dei music video a fare visita a quello della settima arte e non il contrario.

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