lunedì 4 gennaio 2021

The Land of Oz

Alla terza prova nel giro di sei anni Vasilij Sigarev non mantiene quelle aspettative che era stato capace di imbastire con i due lavori precedenti, giusto o sbagliato che sia affidarsi ai propri desiderata basandosi su ciò che si era visto, in Strana Oz (2015) il processo di normalizzazione messo in pratica dal regista addomestica gli slanci immaginifici che si rintracciano timidini qua e là (colpisce realmente solo l’apparizione del galeone fantasma tra i palazzi della città), e pur non potendolo considerare un lungometraggio di routine il film vaga spaesato un po’ come la protagonista (è sempre Yana Troyanova). Dalla rocambolesca notte rappresentata, l’ultima dell’anno, giunge a noi un precipitato grottesco sufficientemente godibile ma privo di guizzi memorabili, se Volchok (2009) e Living (2012) avevano nel motore (soprattutto il primo) una cifra surrealista catalizzata dall’estetica, The Land of Oz preferisce declinare la dimensione fantastica nell’episodicità degli incontri umani che Lenka fa nel corso dell’opera. Non sembra questo un atto particolarmente fruttuoso, al netto di qualche situazione divertente un’auspicabile coesione del tutto latita oltremodo, il susseguirsi delle scenette, che sono tali, si veda la fuga dal poggiolo a causa dell’arrivo della moglie, un classico da “comiche”, potrebbe e dovrebbe dare di più allo spettatore in termini di consistenza invece l’impressione è di essere vicini a qualcosa di parecchio gracile.

La tendenza di Sigarev, che poi è la stessa di altri suoi colleghi, è quella di raccontarci una Russia inospitale abitata da bizzarri personaggi, è possibile che la lente del paradosso applicata ad ogni singolo contesto sia una cartina tornasole della contemporaneità, lo si intuisce dal secondo filone inscenato che viaggia di pari passo a quello di Lenka, i due tizi nel chiosco sono i soggetti di una conversazione sul mondo circostante che degenera in una mini-escalation di depravazioni. Stravagante sì, ma niente di più. Mi sono chiesto poi quale sia il collegamento con il celeberrimo Mago, non essendo ferratissimo sull’argomento lascio ad altri maggiormente sul pezzo il piacere di scovare eventuali affinità, io, a parte la presenza di un cagnolino, ho ravvisato soltanto la possibile somiglianza caratteriale tra le due donne, Dorothy è una ragazzina dolce e altruista (Wikipedia docet) così come lo è, all’incirca, Lenka, anzi forse la smarrita commessa (smarrita anche verso di sé, sia chiaro, l’unico gesto che compie è quello di stringersi nelle spalle) si presenta come un’entità neutra immune alle stramberie che la attorniano, isolata dalla realtà (ad un certo punto dice di non sapere come si fa a vivere), se non addirittura vittima delle peripezie narrative architettate da Sigarev, l’immotivato colpo che riceve verso il finale ne è un esempio, insomma una figura languida con la quale non si riesce ad entrare in sintonia, esatto parallelo, di nuovo, con il film stesso.

Curiosità davvero curiosa: il leit-motiv musicale di Strana Oz, cioè proprio il brano che accompagna non poche sequenze della pellicola, è una canzone di pizzica salentina chiamata Sutt’Acqua e Sutta Jentu conosciuta anche col titolo La rondinella.

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