sabato 21 novembre 2020

En construcción

Anche En construcción (2001), esattamente come Innisfree (1990), si apre con una scritta sovrimpressa che dice: “cose viste e sentite durante la costruzione di un nuovo edificio a El Chino, un popolare quartiere di Barcellona che nasce e muore in un secolo”, la differenza è che nel film del 1990 Guerín mentiva perché all’interno c’era molto, molto di più che una normale registrazione degli eventi, qui, al contrario, si attiene all’avvertimento introduttivo. Per tre anni il regista spagnolo insieme a sei studenti universitari ha ripreso le tappe che hanno portato all’innalzamento di un moderno palazzone di fronte al monastero di Sant Pau del Camp, partendo dalla demolizione di ciò che c’era prima e arrivando alle visite degli agenti immobiliari con i potenziali acquirenti, José Luis Guerín ci dà un ritratto temporale e sociale di quella specifica zona della città catalana, soprattutto sociale: En construcción non è un film per o di ingegneri, è un film con e per le persone che orbitano, vivono o lavorano nei dintorni dell’immobile. Il suo sguardo è più che mai documentaristico ma come era logico attendersi da lui il confine con qualcosa che supera il reale c’è: seguendo principalmente tre soggetti diversi (una coppia un po’ sbandata, un ex marinaio e degli operai arabi nel cantiere), riceviamo una quantità di informazioni relative alla loro vita e ai loro pensieri, i quadri conversativi che vediamo contengono sicuramente una certa dose di verità inquinata da un nonsisache di impostato, nulla di anormale, sono le regole del gioco volute da chi sonda questi territori cinematografici di frontiera.

Peccato però che En construcción mi risulta uno dei titoli meno interessanti del curriculum di Guerín perché manca quel fertile discorso autopensante che invece caratterizza tutto il resto della sua carriera. L’attrazione fatale che chi scrive ha provato per le altre pellicole si raffredda al cospetto di un disegno generale bloccato, fermo, che non ha guizzi memorabili negli elementi che propone. Il ritrovamento degli scheletri romani nelle fondamenta suggerisce dell’altro al di là del mero fatto? Non so, della caducità dell’essere umano, del progresso che non può andarci tanto per il sottile con quattro ossa sotterrate? Sì, è plausibile questo e anche altro, latita però un vero dialogo con la questione centrale: la fabbricazione della palazzina. L’assenza di un rapporto fruttifero si rintraccia anche nei bozzetti esistenziali che compongono il collage antropologico, i due fidanzati, colti con modalità che ricordano, per sparare alto, la Vanda Duarte di Pedro Costa o, per sparare basso, i ragazzi di Europe, She Loves (2016), ci rendono edotti della precaria condizione che hanno (lei si prostituisce e lui è un indolente cronico) con frequenze visive abbastanza stimolanti (sempre relativizzando l’opera, in due decadi la settima arte è per forza di cose cambiata) però il link con il tema base non è pervenuto, e lo stesso ragionamento è applicabile anche all’altra umanità che appare in video. Un procedere per compartimenti stagni unito alla mancanza di una profondità concettuale che pensa e si pensa, mi fanno dire che En construcción, escludendo l’esordio Los motivos de Berta (1984), è il titolo più pratico e meno teorico di Guerín.

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