Peccato però che En construcción mi risulta uno dei titoli meno interessanti del curriculum di Guerín perché manca quel fertile discorso autopensante che invece caratterizza tutto il resto della sua carriera. L’attrazione fatale che chi scrive ha provato per le altre pellicole si raffredda al cospetto di un disegno generale bloccato, fermo, che non ha guizzi memorabili negli elementi che propone. Il ritrovamento degli scheletri romani nelle fondamenta suggerisce dell’altro al di là del mero fatto? Non so, della caducità dell’essere umano, del progresso che non può andarci tanto per il sottile con quattro ossa sotterrate? Sì, è plausibile questo e anche altro, latita però un vero dialogo con la questione centrale: la fabbricazione della palazzina. L’assenza di un rapporto fruttifero si rintraccia anche nei bozzetti esistenziali che compongono il collage antropologico, i due fidanzati, colti con modalità che ricordano, per sparare alto, la Vanda Duarte di Pedro Costa o, per sparare basso, i ragazzi di Europe, She Loves (2016), ci rendono edotti della precaria condizione che hanno (lei si prostituisce e lui è un indolente cronico) con frequenze visive abbastanza stimolanti (sempre relativizzando l’opera, in due decadi la settima arte è per forza di cose cambiata) però il link con il tema base non è pervenuto, e lo stesso ragionamento è applicabile anche all’altra umanità che appare in video. Un procedere per compartimenti stagni unito alla mancanza di una profondità concettuale che pensa e si pensa, mi fanno dire che En construcción, escludendo l’esordio Los motivos de Berta (1984), è il titolo più pratico e meno teorico di Guerín.
Glory - Uomini di Gloria
16 minuti fa
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