Spinge a volerne sapere di
più sul suo conto Mata Atlântica (2016) perché questo corto
ha a sua volta una spinta interiore che lavora in modo sottile, che
suggerisce appena, che si apre in un non trascurabile ventaglio di
possibilità, di suggestioni, di ipotesi, e tutto ciò, ne
converrete, è un gran bene in relazione ad una visione così breve.
Girato a San Paolo, in un parco pubblico che in sostanza sarebbe uno
dei tanti spicchi verdi rimasti della Foresta Atlantica, e firmato
dal duo francese Nicolas Klotz - Elisabeth Perceval (fossi in voi
butterei un occhio al loro progetto successivo: L’héroïque
lande - La frontière brûle, 2017), al film in oggetto si
riconosce una tendenza a connettere due dimensioni non così
facilmente conciliabili come può essere la quotidiana realtà di una
donna che vive in una grande metropoli mondiale ed il lato
ancestrale, oscuro, dimenticato che si annida a qualche passo da lei.
Forse mi sbaglierò, ma la scelta di affrontare questa dicotomia
ricorda approcci lontani dal cinema europeo e vicini a quello
orientale (vedi il buon vecchio Weerasethakul), sicché, al pari
delle manifestazioni del thailandese, sebbene, ovviamente, in scala
ridotta, accade di sentirsi un po’ impreparati al cospetto di tali
inattesi sfasamenti, che poi non si parla certo di un film che
sconvolgerà la vostra mente, però operando sotto epidermide ritengo
che Mata Atlântica sappia
stimolare quelle zone di attenzione spesso anestetizzate dal cinema
che non ci meritiamo.
I
registi mi sono piaciuti nell’idea di soprannaturalità che hanno
impresso in video, perché riducendo, per buona parte dell’opera,
le spiegazioni a zero, la presenza dell’entità misteriosa aleggia
in un commento over che depista e disorienta, tutt’ora, a
proiezione ultimata, non è chiaro se i pensieri appartengano allo
spirito della foresta o all’uomo che si aggira circospetto tra le
frasche, e onestamente poco importa, l’escamotage del narratore
interno è solo un elemento che rinforza la sensazione di maneggiare
un oggetto che si affaccia nell’incognito. Gli altri addendi che
definiscono questo quadro enigmatico sono dati da accorgimenti
tecnici di livello (la ragazza si inoltra nel fitto delle piante e
l’immagine sfibra, si sporca, perde la leggibilità del digitale
per proporsi in chiave deteriorata, footage)
o da semplici primi piani vagamente inlandempiriani su una anziana
donna dagli occhi celesti e luciferini. Poche cose ma fatte bene, e
bene è anche esposto il finale musicale con il menestrello urbano
che detta una possibile linea interpretativa (soprattutto in
relazione al tizio che spiava nel parco) senza però voler impartire
alcunché, lasciandoci perciò nei nostri graditi arrovellamenti
celebrali.
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