lunedì 25 maggio 2020

Jedné noci v jednom městě

Dopo The Secret Adventures of Tom Thumb (1993) porto alla vostra attenzione un altro oggetto animato altrettanto sommerso e altrettanto godibile, questa volta siamo in Repubblica Ceca ed il direttore d’orchestra, tal Jan Balej, nella terra del più importante regista d’animazione alternativa d’Europa (… del mondo?), Jan Švankmajer, sembra aver recepito bene l’arte dell’asso praghese, in Jedné noci v jednom městě (2007) c’è molto dei suoi lavori più famosi (le avventure dell’alberello ricordano affettuosamente il mitico Little Otik, 2000) ma c’è anche molto, o almeno un po’, di caratura specifica e personale, la situazione è all’incirca così: anche se non ne abbiamo visto tutti gli esemplari, sappiamo che alcuni rami del cinema animato servendosi della stop-motion sanno tinteggiare i film con altri colori, più scuri, sporchi, forse anche più malinconici rispetto alla classicità, lo sappiamo eppure quando ne incontriamo qualcheduno sulla nostra strada il piacere di assistervi non viene mai meno. Forse il sottoscritto parteggia troppo per prodotti del genere in cui è fin facile rintracciare imperfezioni a iosa e, ad essere cattivelli, assetti estetici un filo derivativi, ma c’è poco da fare a mio avviso, opterò sempre per una costruzione della scena così “casalinga”, fantasiosa, e, ogni volta, resterò ammaliato dalla composizione generale che mi renderà uguale ad uno dei personaggi del film sotto esame, felice come un fanciullo di fronte alla propria ricostruzione circense con insetti morti.

La conformazione dell’opera è tripartita con l’ultima porzione che si scompone a sua volta in tre ulteriori sotto-scenette, non vi è una connessione tra i vari episodi tanto che Balej avrebbe anche potuto presentarli singolarmente (e magari sono stati pensati così per poi venire assemblati solo successivamente). Sebbene non vi sia un filo conduttore narrativo sono comunque possibili da individuare dei tratti addensanti, e sarà banale iniziare dalla tecnica utilizzata ma il passo uno del regista piace, cioè ragazzi, è divertente, non lesina bizzarrie e si lascia dietro una sottile cifra macabra che Tim Burton si sogna, in subordine vi è una tristezza agrodolce che anestetizza il film, e non è che lo addormenti, lo fa semplicemente librare in un cielo notturno (come il magnifico elefante nuota nell’aria stellata), lo vela di una magia da fattucchiera dove l’incantesimo è povero ma il risultato, all’opposto, è ricco. Ecco, una cosa che mi piace davvero tanto è che sussiste un contrasto notevole tra la materia prima che sostanzia la pellicola (pupazzi, marionette, oggetti quotidiani) e gli esiti che si ottengono, ovvero il frutto di un lavoro manuale che stride con l’imperante computer grafica e che perciò si ritaglia una calda nicchia in cui mi acciambello volentieri. Sono cose che ho già detto, pardon, ma sono cose, tuttavia, così significative da farmi andare giù anche una natura episodica non proprio bilanciata (a mio avviso la triade di storielle conclusive, forse perché maggiormente brevi, convince meno), di certo lo spaccato condominiale e il tenero racconto d’amicizia tra l’albero ed il pesce esemplificano al meglio che cosa può avere questo specifico tipo di animazione: sicuramente un grazioso avvicendarsi di dettagli che proprio ti riconciliano con il tuo Io ludico (le “scarpe” dell’albero!), e poi una scorciatoia per arrivare quel tanto che basta a intravedere un concetto di *meraviglia* che anche da adulti non smette di sorprenderci, ma soprattutto il suo stare nelle retrovie, nelle cantine umide, nelle soffitte impolverate, il suo essere diverso dagli altri o forse il suo essere, e basta.

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