Avevo la
sensazione che non appena qualcuno comincia a parlare, anche se si
tratta di interviste, il pubblico si aspetta spiegazioni e qualcuno
da biasimare, e siccome il cibo ha a che fare con tutti, non volevo
dare al pubblico una possibilità di fuga, perché hanno tutti la
responsabilità di quello che acquistano.
(Nikolaus
Geyrhalter da qui)
Unser
täglich Brot (2005), ossia “il nostro pane quotidiano”: che
è il cibo che compriamo nei supermercati, che cuciniamo a casa e che
mangiamo, solo che non c’è lassù un Padre magnanimo a mandarcelo ma
lo sforzo di una lunga filiera produttiva che ogni giorno si mette in
moto, dall’Austria alla Danimarca, dalla Germania all’Olanda, per
portarci in tavola dei pomodori o una fetta di carne, e Geyrhalter,
da instancabile osservatore quale è, si posiziona proprio
all’interno di queste perpetue catene lavorative, il viaggio,
statico solo in apparenza, non è facile, perché come recita la
piccola sinossi di IMDb anche noi facciamo parte di tale infinito
ciclo e capire se ciò sia giusto o sbagliato comporta un profondo
esame di coscienza, e a prescindere dai meriti tecnici che Our
Daily Bread ha (più film
vedo di Geyrhalter e più ne apprezzo le impostazioni visive), il suo
pregio che maggiormente centra il bersaglio è la capacità di aprire
un dibattito etico nell’animo dello spettatore. Mi si dirà: be’,
è fin troppo facile far porre delle domande a chi guarda
sbattendogli in faccia l’uccisione di un vitello che nel momento in
cui viene appoggiato quell’aggeggio mortale sulla fronte sembra
quasi di percepire il suo terrore, è un ragionamento che mi sono
posto e che ritorna spesso in ambito cinematografico, il mostrare
tutto è davvero più efficace del non mostrare niente? Credo che
nell’area documentaristica una tendenza esibizionistica abbia altre
prerogative rispetto ad un lavoro di fiction, per cui, qui, va bene
vedere come stanno le cose perché, anche se sappiamo a menadito il
significato di un allevamento intensivo o la macellazione di suini,
vederli è sempre diverso, ed
è, appunto, solo vedendoli che si spalancano interrogativi interni
perché c’è, dannazione, qualcosa di sbagliato nell’autoritaria
privazione dello status di essere vivente a degli animali indifesi,
però, al contempo, capiamo che di quest’immane fabbrica del cibo,
ora, non potremmo farne più a meno.
A
meno che, a meno che, magari, non si assumano comportamenti e regimi
alimentari che si sottraggono al processo sopra menzionato, di sicuro
non è il sottoscritto a poter dirimere la faccenda che, lo si
capirà, è alquanto delicata, al massimo posso rimarcare che le
riflessioni scaturiscono da un impianto filmico assolutamente
lineare, non ci sono commenti, né didascalie o interviste di sorta,
come accadrà anche per il successivo Abendland
(2011), è l’avvicendarsi delle sequenze proposte a parlare per sé
e a parlare a noi ed è proprio qua che ritengo si situi la bravura
di Geyrhalter, nella posizione neutra che mantiene dall’inizio alla
fine stimolando congetture per nulla banali. Ma
poi, a dirla tutta, Unser täglich Brot non
è solo un’opera che farebbe svenire un animalista, cioè: non è
che si occupa esclusivamente di scotennamenti, anzi, la visione è
ben più ampia e considera anche prodotti vegetali come le olive e
perfino minerali nella suggestiva parentesi che riguarda l’estrazione
del sale, è un excursus dal grosso raggio in cui, alla lunga, emerge
un tema altrettanto importante che non interessa la materia prima
bensì chi la materia in questione la lavora, ogni santo giorno. La
panoramica si rovescia senza perdere di interesse: lavorare
nell’agroalimentare, sì, ne abbiamo un assaggio, come in una
fabbrica i movimenti sono ripetuti fino all’ossessione – prendi
il pulcino, rimetti il pulcino, così, per sei ore –, le mansioni
da voltastomaco per un qualunque esterno – estrai un vitellino
(morto?) dal ventre della madre – diventano normale routine
professionale, la teorica empatia verso gli animali – una fila di
polli appesi che passa e tu devi sgozzare chi di loro ancora si
dimena – sostituita dalla pragmatica necessità di avere un
salario.
Non avevo mentito a proposito del fatto che il viaggio offerto da Our Daily Bread non fosse una passeggiata, al contrario, è un’impervia salita che comunque vale la pena intraprendere.
Non avevo mentito a proposito del fatto che il viaggio offerto da Our Daily Bread non fosse una passeggiata, al contrario, è un’impervia salita che comunque vale la pena intraprendere.
Nessun commento:
Posta un commento