venerdì 22 maggio 2020

Our Daily Bread

Avevo la sensazione che non appena qualcuno comincia a parlare, anche se si tratta di interviste, il pubblico si aspetta spiegazioni e qualcuno da biasimare, e siccome il cibo ha a che fare con tutti, non volevo dare al pubblico una possibilità di fuga, perché hanno tutti la responsabilità di quello che acquistano.

(Nikolaus Geyrhalter da qui)

Unser täglich Brot (2005), ossia “il nostro pane quotidiano”: che è il cibo che compriamo nei supermercati, che cuciniamo a casa e che mangiamo, solo che non c’è lassù un Padre magnanimo a mandarcelo ma lo sforzo di una lunga filiera produttiva che ogni giorno si mette in moto, dall’Austria alla Danimarca, dalla Germania all’Olanda, per portarci in tavola dei pomodori o una fetta di carne, e Geyrhalter, da instancabile osservatore quale è, si posiziona proprio all’interno di queste perpetue catene lavorative, il viaggio, statico solo in apparenza, non è facile, perché come recita la piccola sinossi di IMDb anche noi facciamo parte di tale infinito ciclo e capire se ciò sia giusto o sbagliato comporta un profondo esame di coscienza, e a prescindere dai meriti tecnici che Our Daily Bread ha (più film vedo di Geyrhalter e più ne apprezzo le impostazioni visive), il suo pregio che maggiormente centra il bersaglio è la capacità di aprire un dibattito etico nell’animo dello spettatore. Mi si dirà: be’, è fin troppo facile far porre delle domande a chi guarda sbattendogli in faccia l’uccisione di un vitello che nel momento in cui viene appoggiato quell’aggeggio mortale sulla fronte sembra quasi di percepire il suo terrore, è un ragionamento che mi sono posto e che ritorna spesso in ambito cinematografico, il mostrare tutto è davvero più efficace del non mostrare niente? Credo che nell’area documentaristica una tendenza esibizionistica abbia altre prerogative rispetto ad un lavoro di fiction, per cui, qui, va bene vedere come stanno le cose perché, anche se sappiamo a menadito il significato di un allevamento intensivo o la macellazione di suini, vederli è sempre diverso, ed è, appunto, solo vedendoli che si spalancano interrogativi interni perché c’è, dannazione, qualcosa di sbagliato nell’autoritaria privazione dello status di essere vivente a degli animali indifesi, però, al contempo, capiamo che di quest’immane fabbrica del cibo, ora, non potremmo farne più a meno.

A meno che, a meno che, magari, non si assumano comportamenti e regimi alimentari che si sottraggono al processo sopra menzionato, di sicuro non è il sottoscritto a poter dirimere la faccenda che, lo si capirà, è alquanto delicata, al massimo posso rimarcare che le riflessioni scaturiscono da un impianto filmico assolutamente lineare, non ci sono commenti, né didascalie o interviste di sorta, come accadrà anche per il successivo Abendland (2011), è l’avvicendarsi delle sequenze proposte a parlare per sé e a parlare a noi ed è proprio qua che ritengo si situi la bravura di Geyrhalter, nella posizione neutra che mantiene dall’inizio alla fine stimolando congetture per nulla banali. Ma poi, a dirla tutta, Unser täglich Brot non è solo un’opera che farebbe svenire un animalista, cioè: non è che si occupa esclusivamente di scotennamenti, anzi, la visione è ben più ampia e considera anche prodotti vegetali come le olive e perfino minerali nella suggestiva parentesi che riguarda l’estrazione del sale, è un excursus dal grosso raggio in cui, alla lunga, emerge un tema altrettanto importante che non interessa la materia prima bensì chi la materia in questione la lavora, ogni santo giorno. La panoramica si rovescia senza perdere di interesse: lavorare nell’agroalimentare, sì, ne abbiamo un assaggio, come in una fabbrica i movimenti sono ripetuti fino all’ossessione – prendi il pulcino, rimetti il pulcino, così, per sei ore –, le mansioni da voltastomaco per un qualunque esterno – estrai un vitellino (morto?) dal ventre della madre – diventano normale routine professionale, la teorica empatia verso gli animali – una fila di polli appesi che passa e tu devi sgozzare chi di loro ancora si dimena – sostituita dalla pragmatica necessità di avere un salario.
Non avevo mentito a proposito del fatto che il viaggio offerto da
Our Daily Bread non fosse una passeggiata, al contrario, è un’impervia salita che comunque vale la pena intraprendere.

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