lunedì 18 maggio 2020

Park

Il primo film che mi balza alla mente in relazione a Park (2016), opera prima di Sofia Exarchou, è Montanha (2015) di João Salaviza, e non è solo perché la visione del film lusitano è parecchio fresca, quanto il fatto che i due lavori razzolano nella stessa arena stilistico-semantica con modalità simili (ma risultati diversi) e che ambedue si focalizzano su una gioventù smarrita, abbandonata dagli adulti e paurosamente sola, e tutto emerge attraverso un cinema-verità che è, inevitabilmente, studio del reale, per cui pronti a fronteggiare molta camera a mano ed un correlato abbassamento del livello di finzionalità (e qui ci mettiamo dentro: trama esile, ad un passo dall’insignificante, comparto attoriale “da strada”, musiche pressoché assenti [ciò non vale per la Exarchou che le utilizza sporadicamente per ispessire alcune situazioni]). Ovvio che attenersi ad un registro asciutto non vuol dire automaticamente fare un grande film (infatti anche quello di Salaviza non lo si può considerare una vetta assoluta) e nel caso di Park parliamo proprio di una circostanza del genere, eppure, per il sottoscritto, la miccia che accende (o dovrebbe farlo) la storia ha un suo perché, la Exarchou girando tra i resti del villaggio olimpico costruito in occasione delle Olimpiadi di Atene ’04 erige una serie di connessioni di un certo rilievo, la ciccia è tanta: ecco un Paese, la Grecia, che si trova in ginocchio come le strutture rovinate dall’incuria, ed ecco, in una visione più ampia, il risultato di una specie di colonialismo moderno che sfrutta al massimo il territorio contiguo per poi lasciare dietro di sé soltanto detriti e miseria (si legga qui ciò che è successo in Brasile), e inseriti in un tale contesto i vari ragazzini assumono connotati ectoplasmatici, lottano, gareggiano, sognano di potersi esibire (Anna), si docciano dove un tempo si lavavano gli atleti, ma, nella pratica, sono dei piccoli figli di buona donna senza un euro (fanno accoppiare i cani per racimolare denaro) e senza una scintilla che li tenga davvero in vita, nemmeno l’amore.

La proposta del gruppo di teenager incapsulati in una bolla sorda e lassista da parte della regista è talmente rispettabile da ricordarmi inizialmente il bighellonare inconcludente dei ragazzi di Eduardo Williams in The Human Surge (2016), con lo sviluppo della pellicola però la profondità del collega argentino è un miraggio per la Exarchou poiché proprio dove dovrebbe esserci una spinta decisiva ci si imbatte in un profuso ristagnamento, ovvero abbiamo a che fare con un’idea riproposta più volte che vede la giovane coppia tentare di evadere oltre i confini ingrigenti dell’ex villaggio per poi trovare un mondo non troppo diverso da quello che hanno lasciato, la scena si ripete due volte, in una sono presenti sia Anna che Dimitri, mentre nell’altra solo il marmista in erba, il risultato, ribadito, non cambia: gli esseri umani sono degli idioti che bevono e schiamazzano, però manca della forza per giungere a queste conclusioni, manca manca manca, perché è proprio tangibile l’assenza di certi ingredienti capaci di far sollevare Park dalla mediocrità dei suoi simili, purtroppo, in fin dei conti, quando un’opera non incontra il gusto personale si tende a dardeggiarla servendosi dei cattivi esempi che il cinema ci offre a iosa, sicché, osservando il vuoto peregrinare di Dimitri e le annesse difficoltà relazionali, si annusa immediatamente la possibilità di un picco drammatico che chiuda in nero la vicenda, apice che puntualmente si verifica ma perlomeno senza esagerare, però: c’è predizione, e non va bene, poi: dei passaggi non accendono minimamente (il segmento con lo straniero ubriaco che porta alla conclusione è brutto forte) altri, tutti quelli riguardanti la combriccola di pischelli, risultano troppo insistiti, l’obiettivo di inscenare un’esistenza circolare e aliena scivola nella replica, non c’è sufficiente distacco dalla realtà per trasformare la materia filmica in un flusso suggestionante, e al contempo la realtà catturata non è davvero investente come invece certa settima arte che percorre strade analoghe sa essere. Lasciamo Sofia Exarchou compiere i passi necessari per una plausibile maturazione, se noi saremo con lei in futuro è un dettaglio a cui adesso non abbiamo tempo né voglia di pensare.

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