Il primo
film che mi balza alla mente in relazione a Park (2016),
opera prima di Sofia Exarchou, è Montanha
(2015) di João Salaviza, e non è solo perché la visione del film
lusitano è parecchio fresca, quanto il fatto che i due lavori
razzolano nella stessa arena stilistico-semantica con modalità
simili (ma risultati diversi) e che ambedue si focalizzano su una
gioventù smarrita, abbandonata dagli adulti e paurosamente sola, e
tutto emerge attraverso un cinema-verità che è, inevitabilmente,
studio del reale, per cui pronti a fronteggiare molta camera a mano
ed un correlato abbassamento del livello di finzionalità (e qui ci
mettiamo dentro: trama esile, ad un passo dall’insignificante,
comparto attoriale “da strada”, musiche pressoché assenti [ciò
non vale per la Exarchou che le utilizza sporadicamente per ispessire
alcune situazioni]). Ovvio che attenersi ad un registro asciutto non
vuol dire automaticamente fare un grande film (infatti anche quello
di Salaviza non lo si può considerare una vetta assoluta) e nel caso
di Park parliamo
proprio di una circostanza del genere, eppure, per il sottoscritto,
la miccia che accende (o dovrebbe farlo) la storia ha un suo perché,
la Exarchou girando tra i resti del villaggio olimpico costruito in
occasione delle Olimpiadi di Atene ’04 erige una serie di
connessioni di un certo rilievo, la ciccia è tanta: ecco un Paese,
la Grecia, che si trova in ginocchio come le strutture rovinate
dall’incuria, ed ecco, in una visione più ampia, il risultato di
una specie di colonialismo moderno che sfrutta al massimo il
territorio contiguo per poi lasciare dietro di sé soltanto detriti e
miseria (si legga qui ciò che è successo in Brasile), e inseriti in
un tale contesto i vari ragazzini assumono connotati ectoplasmatici,
lottano, gareggiano, sognano di potersi esibire (Anna), si docciano
dove un tempo si lavavano gli atleti, ma, nella pratica, sono dei
piccoli figli di buona donna senza un euro (fanno accoppiare i cani
per racimolare denaro) e senza una scintilla che li tenga davvero in
vita, nemmeno l’amore.
La
proposta del gruppo di teenager incapsulati in una bolla sorda e
lassista da parte della regista è talmente rispettabile da
ricordarmi inizialmente il bighellonare inconcludente dei ragazzi di
Eduardo Williams in The Human Surge
(2016), con lo sviluppo della pellicola però la profondità del
collega argentino è un miraggio per la Exarchou poiché proprio dove
dovrebbe esserci una spinta decisiva ci si imbatte in un profuso
ristagnamento, ovvero abbiamo a che fare con un’idea riproposta più
volte che vede la giovane coppia tentare di evadere oltre i confini
ingrigenti dell’ex villaggio per poi trovare un mondo non troppo
diverso da quello che hanno lasciato, la scena si ripete due volte,
in una sono presenti sia Anna che Dimitri, mentre nell’altra solo
il marmista in erba, il risultato, ribadito, non cambia: gli esseri
umani sono degli idioti che bevono e schiamazzano, però manca della
forza per giungere a queste conclusioni, manca manca manca, perché è
proprio tangibile l’assenza di certi ingredienti capaci di far
sollevare Park dalla
mediocrità dei suoi simili, purtroppo, in fin dei conti, quando
un’opera non incontra il gusto personale si tende a dardeggiarla
servendosi dei cattivi esempi che il cinema ci offre a iosa, sicché,
osservando il vuoto peregrinare di Dimitri e le annesse difficoltà
relazionali, si annusa immediatamente la possibilità di un picco
drammatico che chiuda in nero la vicenda, apice che puntualmente si
verifica ma perlomeno senza esagerare, però: c’è predizione, e
non va bene, poi: dei passaggi non accendono minimamente (il segmento
con lo straniero ubriaco che porta alla conclusione è brutto forte)
altri, tutti quelli riguardanti la combriccola di pischelli,
risultano troppo insistiti, l’obiettivo di inscenare un’esistenza
circolare e aliena scivola nella replica, non c’è sufficiente
distacco dalla realtà per trasformare la materia filmica in un
flusso suggestionante, e al contempo la realtà catturata non è
davvero investente come invece certa settima arte che percorre strade
analoghe sa essere. Lasciamo Sofia Exarchou compiere i passi
necessari per una plausibile maturazione, se noi saremo con lei in
futuro è un dettaglio a cui adesso non abbiamo tempo né voglia di
pensare.
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