Abbandonato il cinema
mite di Womb (2010) che poco si confaceva alla sua autorialità,
Benedek “Bence” Fliegauf riparte dalla nazione d’appartenenza
traendo ispirazione da brutti fatti di cronaca che videro tra il 2008
e il 2009 l’uccisione di intere famiglie zigane nella campagna
ungherese.
Con Csak a szél (2012)
il regista magiaro fornisce l’ennesima conferma riguardante la
capacità che ha di attraversare gli stili e le forme, rimodellandosi
e rimettendosi in gioco film dopo film; Just the Wind segna un
passaggio (più probabile una transizione) in quel cinema del reale
proprio di Brillante Mendoza e di molti altri cineasti emergenti che
non conosce il concetto di geometria preferendo optare per una via di
trasmissione fatta di pedinamenti, irregolarità, PP strettissimi,
improvvisi strappi e inaspettate stasi che seguono lievemente il
ritmo cardiaco degli attori (molti dei quali, ovviamente, non
professionisti), e Fliegauf si adopera efficacemente nell’imbastire
tali frequenze che fanno il loro dovere: il territorio che è teatro
della storia si avverte davvero come una terra dimenticata anche
dalla più inutile entità ultraterrena, di riflesso chi popola
questa zona franca è abbandonato a se stesso e alla legge del
singolo. Delle varie istantanee di degrado non vi è niente che non
sia già stato mostrato altrove, anzi, Fliegauf è perfino pudico
nell’illustrare gli intuibili orrori della collettività sotto
esame, ciò non intacca ad ogni modo la grevità dell’aria che tira
corroborata visivamente da riprese che spesso scivolano nel buio
naturale.
È un film ferino,
selvatico, che riacciuffa per sommi capi la pluralità narrativa
degli esordi concentrandosi su tre singoli soggetti appartenenti alla
stessa famiglia. Se le vicende della madre e della figlia scorrono
alternativamente evidenziando episodi di degenerazione umana
(significativo il passaggio della mamma nei pressi di un bar in cui
si suggerisce, a seguito della rissa, di come i nervi siano tesi per
motivi di matrice razzista), l’attenzione va focalizzata sul
ragazzino e sul suo vagabondaggio tra detriti e rifiuti. Fliegauf
segue il figlio e si serve di lui per esplicitare alcune questioni
indispensabili alla comprensione del film (si pensi al dialogo
origliato tra i due poliziotti e all’incontro con l’altro ragazzo
del posto dentro al bunker), lo rende compassionevole, lui
assolutamente libero, facendogli seppellire il maiale morto simbolo
di una strage, di un’ombra incombente che il sogno del Canada (a
quanto pare rimandato da tempo) è incapace di rischiarare, e
soprattutto lo rende edotto della condizione in cui vive e del
probabile destino che gli toccherà (basta un’immagine per tutto
ciò: il furore verso una pianticella innocente).
Finale, poi, ammutolente.
Fliegauf è un grandissimo regista, sono contento che dopo Womb (un mezzo passo falso) abbia deciso di cambiare strada, ritornando alla "pluralità narrativa degli esordi". La trama, poi, sembra interessantissima. Spero di trovarlo, da qualche parte..
RispondiElimina... molto "per sommi capi", comunque.
RispondiEliminail cinema magiaro ha sempre un fascino potente e insondabile, una calamita per la mente e per la curiosità ... ovviamente la descrizione sulla ferinità del film mi ha incuriosito ancora di più, devo recuperarlo e saggiarne la consistenza ma ho grandi speranze di non andare incontro a delusioni
RispondiEliminaNon aspettarti un film che ti cambierà la vita, piuttosto un'opera "piccola" con buone qualità.
RispondiEliminaE già che si parla di Ungheria, comunico a tutti che è uscito in libreria Melancolia della resistenza di László Krasznahorkai. Titolo e autore non vi diranno niente ma se googlate un attimo capirete.
Io me lo sono già comprato e non vedo l'ora di leggerlo.
Che balena familiare... ;)
Eliminatitolo e autore dicono niente però la balena rimanda allo splendido film di tarr: le armonie di werckmeister, il grande cetaceo in mezzo alla stanza e le riprese dall'alto in bianco e nero, non ricordo se fosse un soggetto originale o se questo Laszlo centri qualcosa ... bastano opere piccole a cambiarmi la vita, in questo momento, poi ho una predilezione per il cinema magiaro quindi tendo a non essere superpartes ... ho saputo, adesso, da questo blog della morte di balabanov, mi si è gelato il cuore, brother (il primo), cargo e morfina restano nel mio empireo di visioni russe ... un gran peccato
RispondiEliminaQuesto László c'entra eccome, da anni collabora con Tarr nella stesura delle sceneggiature :).
RispondiEliminaAd una prima sfogliata il libro si presenta veramente denso, non c'è un punto e a capo neanche a morire. Lo trovo già un ottimo biglietto da visita.
ma non esistono i sottotitoli in italiano?
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