Il ritorno di Fliegauf al
cinema narrativo dopo due film di ricerca come Milky Way
(2007) e Csillogás (2008) spiazza. Se riprendiamo i lavori
degli esordi (Rengeteg [2003] e Dealer [2004]) che
erano sì di fiction ma avevano una natura radicale finanche
innovativa e li rapportiamo a Womb (2010), si scoprirà seduta
stante di come per quest’ultimo il regista ungherese abbia
addomesticato lo stile in nome di una potabilità per il pubblico più
vasto (la recitazione in inglese è un segnale eloquente), e infatti
il film si è dimostrato così accessibile che perfino la
distribuzione italiana (con due anni di ritardo) lo ha portato nelle
nostre sale.
Appurato dunque un cambio
di rotta che per il sottoscritto non è esattamente il migliore dei
biglietti da visita, è doveroso riconoscere a Fliegauf la capacità
di non trattare la banalità, di essere a suo modo provocatore e di
non aver timori reverenziali verso il tabù per eccellenza. La sua
storia galleggia in un limbo di orizzontalità dove il mare e la
spiaggia si fondono in un unico, sconfinato, panorama (si tratta
della località balneare tedesca Sankt Peter-Ording); in questa
atmosfera di accogliente eternità Fliegauf crea una bolla temporale
dove passato e presente coesistono, si amalgamano, diventano un
tutt’uno come l’ambiente gestazionale che li contiene. Fliegauf
permette la compresenza di ciò che era e ciò che è attingendo per
la prima volta all’enciclopedia della fantascienza che “gli
regala” l’escamotage della clonazione per centrare gli obiettivi
preposti, obiettivi che dribblano le montagne dell’eticità (c’è
qualche rapido accenno) per rivelare alla fin fine il proprio nucleo
sentimentale.
L’idea di Fliegauf è
lodevole e capace di generare dei cortocircuiti concettuali che
trovano catarsi in dettagli sfuggenti: Rebecca incinta che si reca
alla tomba di Thomas, la presenza sulla battigia di due pesci
simil-preistorici, il dinosauro giocattolo sotterrato e poi
recuperato dalla madre, piccole riprove che testimoniano l’ubriacante
compenetrazione del prima nell’ora, particelle di una materia aerea
racchiusa in un grembo che tutto contiene, maternità ciclica e
perenne.
Qui arriva l’inevitabile
Però figlio dell’ammaestramento di Fliegauf che dal momento in cui
Thomas giunge alla stessa età dell’originale non riesce a proporre
come probabilmente vorrebbe il rapporto conflittuale che vive Rebecca
divisa tra l’essere madre e l’essere amante. L’introduzione della
ragazzetta genera delle rigidità figlie di un cinema mansueto
obbligato a raccontare tutto, ed anche se la finezza registica
non viene mai a mancare ci sono precise situazioni che scemano di
genuinità e dunque l’artifizio (Rebecca che si era insinuata nel
letto del figlio e che una volta sotto le coperte assiste agli
amoreggiamenti della coppia senza che Thomas [consapevole che la
madre era lì nella stanza] si sottragga immediatamente alle avances
della fidanzata) e la letteralità (Rebecca che sente i giovini
accoppiarsi nella stanza adiacente) pesano sull’autenticità del
filo amoroso che come abbiamo detto ha un ruolo base all’interno
del film.
Il finale non migliora
l’andazzo perché macchiato da una sbrigatività eccessiva. La
scoperta della reale identità da parte di Thomas avviene dopo un’ora
e trentacinque minuti di proiezione, l’amplesso incestuoso dopo
un’ora e quaranta minuti. Difficile credere che in appena trecento
secondi l’uomo Thomas, figlio fino a due battiti di ciglia prima,
si abbandoni alla carne di Rebecca la quale è passibile di un
ragionamento molto simile. Non si chiede la verosimiglianza ad un
film a cui non interessa l’attendibilità, ma almeno una coerenza
logica che dia tridimensionalità ai personaggi invece di proporli
come figurine sottomesse ai meccanismi filmici. Se queste
osservazioni suonano ammantate di una fastidiosa pignoleria il primo
a rammaricarsene è il sottoscritto, sono scaturite dalla visione e
amplificate dal nome del regista, prendeteli così: appunti di
pancia.
prima parte intrigante, poi si sprofonda nella noia e il finale oltre che inverosimile è abbastanza ridicolo.
RispondiEliminaclassica occasione sprecata...
Sai già che su Fliegauf la penso come te. A questo punto resta solamente l'interrogativo sull'ultimo suo lavoro (Just the Wind), aspettando di vedere se Womb possa essere una parentesi, o in caso deludente, una conferma.
RispondiEliminaParentesi per me. Just the Wind l'ho apprezzato.
RispondiEliminaGià beccato? Buono a sapersi.
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