sabato 13 aprile 2013

Il rapinatore

Johann e la coesistenza di due sé: il maratoneta vincente, lo sportivo che si sacrifica con determinazione per raggiungere il suo traguardo, e il rapinatore di banche non meno cocciuto nelle azioni che compie.

Benjamin Heisenberg, tedesco classe’74, gira nel 2010 il suo film in Austria, nazione che negli ultimi anni dal punto di vista cinematografico si è assestata su livelli d’eccellenza. E proprio dai colleghi austriaci (citiamo Seidl e Haneke come top assoluto) questo giovane regista sembra volere ricalcare la medesima sobrietà, pochissimi sono infatti i fronzoli: nel globale il film è asciutto anche quando gli eventi si fanno più movimentati, ed è altrettanto minimale nell’inscenare lo scorrere esistenziale di Johann una volta uscito di prigione. Nella prima parte è evidente questa voluta contrapposizione tra le statiche vicissitudini di un uomo qualunque (l’affitto, il lavoro, le parentesi sentimentali) e le frenetiche disavventure di un ladro. Heisenberg, autore anche della sceneggiatura ispirata da un libro di Martin Prinz, non trova la chiave dell’amalgama, la giustezza della complementarietà: i frangenti in cui l’uomo non imbraccia un fucile difettano di appeal, sono deboli per concentrato e per via di trasmissione, in soldoni restano qualche passo indietro alle accelerazioni riguardanti i colpi in banca che, e va detto, non hanno una gran dose di innovazione ma che al di là del loro essere “già visti” si presentano in maniera decorosa.
L’effetto più negativo che scaturisce da questa duplice pista iniqua è che il personaggio principale si allontana progressivamente dallo spettatore poiché circondato da un’avvolgente bolla anestetica.

Sebbene l’origine del sollevamento della pellicola sia da ricondurre ad una non risibile esagerazione (ok la sottolineatura della corsa come atto liberatorio, ma fuggire da una stazione di polizia a piedi non convince troppo), dal momento in cui Johann diventa un fuggitivo il film ha finalmente una crescita dovuta all’impostazione drammatica che, sempre finalmente, si getta nella tensione trovando un taglio sufficientemente apprensivo e proponendo quadri in grado di stuzzicare l’appetito estetico (il campo lungo del bosco macchiato dalle luci rabdomantiche dei poliziotti è, appunto, da pollice alto). Non siamo ovviamente ai livelli di una rappresaglia action perché, è bene ricordarlo, Heisenberg continua ad operare sottotraccia anche durante la selvatica clandestinità del suo protagonista, comunque sia il deposito sulle meningi di chi assiste non è poi così lieve e a legittimare ciò ci pensa il finale, ben congegnato con quei flashback, che un po’ beffardamente mette sulla corsia d’emergenza un corridore inafferrabile capace di seminare qualunque inseguitore, esclusa la Morte.

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