Johann e la coesistenza
di due sé: il maratoneta vincente, lo sportivo che si sacrifica con
determinazione per raggiungere il suo traguardo, e il rapinatore di
banche non meno cocciuto nelle azioni che compie.
Benjamin Heisenberg,
tedesco classe’74, gira nel 2010 il suo film in Austria, nazione che negli
ultimi anni dal punto di vista cinematografico si è assestata su
livelli d’eccellenza. E proprio dai colleghi austriaci (citiamo
Seidl e Haneke come top assoluto) questo giovane regista sembra
volere ricalcare la medesima sobrietà, pochissimi sono infatti i
fronzoli: nel globale il film è asciutto anche quando gli eventi si
fanno più movimentati, ed è altrettanto minimale nell’inscenare
lo scorrere esistenziale di Johann una volta uscito di prigione.
Nella prima parte è evidente questa voluta contrapposizione tra le
statiche vicissitudini di un uomo qualunque (l’affitto, il lavoro,
le parentesi sentimentali) e le frenetiche disavventure di un ladro.
Heisenberg, autore anche della sceneggiatura ispirata da un libro di
Martin Prinz, non trova la chiave dell’amalgama, la giustezza della
complementarietà: i frangenti in cui l’uomo non imbraccia un
fucile difettano di appeal, sono deboli per concentrato e per via di
trasmissione, in soldoni restano qualche passo indietro alle
accelerazioni riguardanti i colpi in banca che, e va detto, non
hanno una gran dose di innovazione ma che al di là del loro essere
“già visti” si presentano in maniera decorosa.
L’effetto più negativo
che scaturisce da questa duplice pista iniqua è che il personaggio
principale si allontana progressivamente dallo spettatore poiché
circondato da un’avvolgente bolla anestetica.
Sebbene l’origine del
sollevamento della pellicola sia da ricondurre ad una non risibile
esagerazione (ok la sottolineatura della corsa come atto liberatorio,
ma fuggire da una stazione di polizia a piedi non convince troppo),
dal momento in cui Johann diventa un fuggitivo il film ha finalmente
una crescita dovuta all’impostazione drammatica che, sempre
finalmente, si getta nella tensione trovando un taglio
sufficientemente apprensivo e proponendo quadri in grado di
stuzzicare l’appetito estetico (il campo lungo del bosco macchiato
dalle luci rabdomantiche dei poliziotti è, appunto, da pollice
alto). Non siamo ovviamente ai livelli di una rappresaglia action
perché, è bene ricordarlo, Heisenberg continua ad operare
sottotraccia anche durante la selvatica clandestinità del suo
protagonista, comunque sia il deposito sulle meningi di chi assiste
non è poi così lieve e a legittimare ciò ci pensa il finale, ben
congegnato con quei flashback, che un po’ beffardamente mette sulla
corsia d’emergenza un corridore inafferrabile capace di seminare
qualunque inseguitore, esclusa la Morte.
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