La casa editrice ha dei
problemi economici, per rimediare il boss Don Carlos intraprende un
“businnes” alternativo che avrà il mite Alfredo come
involontario protagonista.
È il primo vagito nel
mondo della settima arte per questo autore spagnolo di nome Pablo
Berger che replicherà soltanto anni dopo con Blancanieves (2012), esordio convincente venato di ironia che pur trattando un
tema con cui è facile scottarsi prende bene le misure da qualunque
scivolone scurrile tanto che i nudi presenti non hanno alcunché di
sensazionalistico o gratuito, semplicemente rientrano nel recinto
generale fatto di garbo e finezze che è un piacere cogliere (la
scritta “Bergman” sul megafono che Alfredo non abbandonerà mai è
una delle tante, deliziose, incomprensioni).
Ma in profondità, sotto
la patina di superficie, Berger pone il nodo concettuale della sua
opera, uno strato ben mimetizzato nell’ordine degli eventi che una
volta snidato garantisce soddisfazione: Torremolinos 73 (2003)
è giustappunto il recipiente che raccoglie una delle colluttazioni
più evidenti in ambito cinematografico, perché è netto il
conflitto tra Don Carlos che rappresenta l’incasso, il guadagno, il
tornaconto monetario (punta il mercato scandinavo perché al tempo
molto più liber(tin)o: ricordate Svezia, inferno e paradiso del ’68
? ). Mentre Alfredo impersonifica chi il cinema lo fa per voglia, per
passione, per amore (gli appunti presi durante la visione di
capolavoroni, l’abnegazione nello scrivere la propria
sceneggiatura). Il tamponamento tra questi due modi di intendere il
cinema ricalca un po’ ciò che accade oggidì: il soldo vince, il
cuore perde.
Appurata
questa tenace traccia sotterranea, si registra un successivo punto
d’attenzione, un aspetto che attenua la commedia e fa scendere una
piccola notte, una camera d’aria di dramma, specificatamente
femminile, che sottaciuta per buona parte della pellicola, o, se si
vuole, adibita apparentemente ad accessorio, emerge con forza
rabbuiante nel finale in cui Berger tira le fila della storia: ognuno
dei personaggi in scena ottiene ciò che desidera: Don Carlos il film
che vuole lui, Alfredo il ruolo di Regista, e Carmen un figlio. Il
sapore dei titoli di coda è però amarognolo, l’etica
professionale è schiacciata dal mostro-denaro e come se non
bastasse quella personale viene sgretolata, ripudiata, dimenticata
per riuscire a coronare un sogno: essere genitori di un film, essere
genitori di un figlio, la differenza, per Berger, è praticamente
inesistente, ma i sacrifici per giungere a tale traguardo sono
dolenti, e fanno male dal ridere, o viceversa.
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