giovedì 18 ottobre 2012

Marfa şi banii

Anche se al debutto il cinema di Puiu ha la capacità di metterti lì, dentro gli ingranaggi della cosiddetta realtà, in un appartamento con la nonna che sembra far parte della mobilia e i rumori della mamma alle prese con le faccende domestiche. Marfa şi banii (2001) è un’opera conforme a quelle che verranno: per Puiu il cinema non è questione di scenografie, la strada è il set, come le abitazioni, un ospedale o l’interno di un camioncino, non serve null’altro per fare un film. Anche se, in questo suo esordio, c’è da dire che a sorreggere la visione veristica ci pensa un’intelaiatura evidente, una vera e propria sceneggiatura che il rumeno non riproporrà così marcatamente in futuro. È intrigante notare come il regista nato a Bucarest sia già padrone della tecnica riuscendo con uno stile immediato e scevro di preziosismi ad ottenere risultati validi, e tenuto conto delle ristrettezze di budget si potrebbe abbondare di superlativo assoluto: validissimi, perché A: maneggiando elementi base (il malloppo, i buoni, i cattivi, i mafiosi – difficili da schierare) riesce ad imbastire, con grande stupore, uno pseudo-road-noir molto più che dignitoso, B: non ha timore di impostare i tempi di ripresa in modo anticonvenzionale, buona parte della pellicola è infatti ambientata tutta all’interno di un furgone, in una manifestazione autoriale che può ricordare l’inizio della seconda metà di Kinatay (2009); il punto fondamentale è che su quei sedili sudici e scuciti non sono solo in tre, c’è anche Puiu, e quindi ci siamo dentro anche noi che sentiamo e vediamo tutto: i loro discorsi, le loro es(/im)pressioni, il frastuono incessante del motore, C: perché prima durante e dopo il tragitto vengono incastonati dei frammenti di denuncia che sono più corrosivi della storia in superficie: i motivi per cui un bravo ragazzo debba infognarsi in tali traffici, la polizia facilmente corruttibile, la barbara legge del crimine.

Chi si aspettava dunque che Cristi Puiu fosse soltanto il regista del caustico The Death of Mister Lazarescu (2005) o del per chi scrive troppo lezioso Aurora (2010) deve tenere conto anche di Stuff and Dough, lungometraggio che oltre ad essere considerato uno dei primi, se non il primo, film della nouvelle vague rumena, chiosa la sua ora e mezza di proiezione con un finale che non ha niente di conciliatorio e lo sguardo perso del giovane Ovidiu è lì, rassegnato, a suggerircelo.

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