mercoledì 18 gennaio 2012

Shame

Qualche riflessione a caldo sul film di Steve McQueen.

- non una radiografia dell’uomo moderno, ma dell’uomo metropolitano. Trattasi di sinonimo probabilmente, tuttavia il regista inglese preme vigorosamente sulla città rendendola fisica e imponente. New York non è teatro di e nemmeno contenitore per, New York è parte attiva (e sorniona) del cast, presente sempre e noncurante altrettanto: è oltre la finestra dell’ufficio di Brandon con i suoi totem-grattacielo, è nelle parole cantate con un filo di voce da parte di Sissy, è, con tutta la sua invadenza, dietro il protagonista e la ragazza di colore durante l’imbarazzo del saluto, una scritta piccola sul cartello della metro, ma New York c’è e alla fine, con quella pioggia che martoria un uomo disintegrato, ne piange il futuro che non potrà essere mai diverso dal presente (l’ultimissimo campo-controcampo sul vagone).
Se il luogo diventa causa della deriva rappresentata o se ci sia dell’altro incastrato nelle maglie del passato non è dato saperlo, ed è giusto così. Non c’è bisogno di un bollettino eziologico né per Brandon né per Sissy. Qualcosa di brutto è successo, qualcosa di brutto sta accadendo: guarda caso (dato, ad esempio, lo spirito apolide della ragazza) proprio tra le spire della Grande Mela, la compagna silenziosa che agguanta il cuore, atrofizzandolo: il capo-ufficio sposato che non disdegna atteggiamenti libertini; le donne. Tutte (a parte una) creature fameliche prossime all’apatia sentimentale; e, ovviamente, Brandon.

- McQueen non fornisce un significato univoco al titolo. La vergogna è un’emozione che per conto di Brandon fa capolino in almeno due occasioni: quando viene colto da Sissy nel bagno, e quando si scopre che l’hard disk del suo computer è pieno di roba porno.
Ma questi sono eventi di basso rango, gocce che confluiscono in un vaso già ampiamente sporco.
La vera vergogna ha ben altri crismi ed il processo che la prende di forza per gettarla sotto l’occhio di bue inizia con la scena del ristorante. Oltre al fatto che la suddetta scena è ottimamente orchestrata grazie ai risvolti quasi comici col cameriere, il dialogo da mera routine si tramuta nella svestizione (ancora teorica) di un uomo che potrebbe avere tutto, e che di conseguenza non ha niente. Zoom su Brandon e collega seduti al tavolo e la rivelazione: “la mia storia più importante è durata al massimo 4 mesi”.
Questo è il prologo di un crollo che si concretizza all’interno dell’attico: la maschilità messa in gioco nell’atto di spogliarsi per davvero e la bandiera bianca di fronte all’evidenza.
Brandon non sa amare, tale è la vergogna terribile di cui lui stesso diventa consapevole, e colpevole.

- anche se, fino a qui Shame pur dicendo le cose piuttosto bene non costruisce un legame magnetico con lo spettatore. Il decollo verticale però non tarda ad arrivare, e la massiccia sequenza che racconta a ritroso enuclea l’epitaffio di un uomo d’oggi: non serve a niente liberarsi delle àncore che ormeggiano la propria vita, né i giornaletti (notevole l’effetto che simula una rapida “sfogliata”) né i vari oggettini gettati nella pattumiera possono riabilitare un’esistenza.
Il sesso diventa il senso unico, non importa nemmeno più con chi, con quanti, e la conseguenza è che non importa niente nemmeno dei legami consanguinei (la potente immagine di Sissy in un lago di sangue: ogni goccia un senso di colpa… ?), conta solo infilare il proprio cazzo in un buco [1] e soddisfare l’istinto.
Il sesso è la strada che ad ogni passo si sgretola e obbliga soltanto ad andare avanti; Brandon, uomo e fratello del nuovo millennio, nelle viscere sotterranee di New York è una bestia in giacca e cravatta che aspetta soltanto la sua preda.
Una delle tante prede uguali a lui.
__________
[1] Il divieto ai minori di 14 anni (in America è andata peggio: v.m. 17!) penso sia dovuto all’esposizione solare del pene di Fassbender. Per carità, ci saranno delle regole, non so, ma le riprese nature non sono altro che elementi modellanti il personaggio che si mostra nudo - e senza vergogna - fin da subito.

26 commenti:

  1. Ottimo post.
    Sto leggendo critiche agli antipodi di questo film, che vanno dal miracolo alla noia.
    Spero di cimentarmi presto anche io.

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    1. Io diciamo che mi metto a metà strada. Non urlo al capolavoro, ma resta un film a cui vanno riconosciuti alcuni meriti.
      Per essere un'opera da botteghino me la prendo e me la faccio andare bene.

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  2. ehilà tu e Roby la stessa pellicola. Spero di vederlo presto anch'io! ;)

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  3. shame on me che non l'ho ancora visto :)

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  4. mi astengo da ogni commento, queste riflessioni me le tengo bene strette per paura di perderle.

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. no, lo vedrò il prima possibile, poi se riesco passo a farti sapere Eraserhead ;)

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  6. non ho letto niente, spero di andarlo a vedere al più presto.
    diciamo però che ho delle aspettative molto alte, visti i precedenti di McQueen... ;)

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    1. io ero attirato dalla tematica (e forse questo mi porta a decantarlo un po' troppo), ma sono rimasto estremamente colpito: è un film crudo, duro, a tratti cattivo, certi momenti pensi che non abbia un messaggio da esprimere e poi arriva un piano sequenza con dialogo serratissimo che ti butta a terra e non ti rialzi più e capisci tutto.
      in pratica, te lo consiglio caldamente ;)

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  7. Lo stavo commentando altrove e ho visto che anche tu hai scritto qualcosa al riguardo. Sono molto d'accordo col tuo commento in risposta a MrJamesFord. Anche io come te non grido al miracolo, perché il miracolo di Mcqueen è "Hunger", però il film di meriti ne ha e la mano autoriale si vede e si sente chiaramente. Sulle riflessioni:

    1) Proprio stando al suo precedente lungometraggio, io ho visto un lavoro di analisi morbosa del personaggio. Oltre ad essere l'unico protagonista della pellicola, sembra l'unico carattere, invero, all'interno della stessa. La città è viva, è vero, ma è solo un altro volto nella dimensione sofferente e dallo sfondo sfocato del Brandon. Parere personalissimo, ovviamente.

    2) Niente da dire. Sottoscrivo tutto.

    3) Anche in questo caso non sono per la generalizzazione. Nel senso che il cinema di McQueen mi sembra un concentrarsi con forza sul personaggio scelto senza intenzione alcuna di ampliare lo sguardo né di suggerire tale ampliamento.

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  8. 1) è che la lunga scena di Sissy che canta New York (e relative lacrime di Fass) mi ha fatto accendere una lampadina: vuoi vedere che la città ha un ruolo di primo piano? Magari ho sovrainterpretato, non so, però gli altri indizi che ho elencato mi hanno portato a questa conclusione: che probabilmente NY ha un ruolo non da poco nella formazione, appunto, morbosa di Brandon; ma anche degli altri personaggi, tipo le macchiette che si scopa.

    3) Non ho visto Hunger quindi non so se c'è un dialogo tra le due pellicole. Ti dico, a me è parso che non è solo Brandon ad essere in quelle condizioni, magari è il più "malato", ma anche gli altri non se la passano troppo bene, vedi il collega o la sorella. Oppure anche l'approccio al bar (passaggio un po' ardito forse), dove la tipa appena conosciuta si fa mettere le mani in mezzo alle gambe. Cioè, a me è sembrato così, che nella merda Brandon non sia proprio da solo.

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  9. Finalmente un film che ho visto...
    Ottima recensione.
    Pur avendo scritto cose completamente diverse il mio giudizio globale è come il tuo.
    Hai ragione, la città è prepotentemente in scena e la sequenza allucinante di New York New York in quest'ottica può avere il suo perchè (bravissimo, non ci avevo pensato minimamente).
    E lo Shame inteso come vergogna di non saper amare è un altro ulteriore significato che può avere il titolo.

    Però più passa il tempo più ho la sensazione che sia un grande esercizio di stile. C'erano molti momenti in cui il film sarebbe potuto andare più in profondità e non l'ha fatto preferendo scene sì esplicative per delineare la psicologia del personaggio, ma comunque molto costruite, cinematografiche, un pochino patinate.
    Non ho visto Hunger, spero che dopo Shame McQueen venga sdoganato e li si recuperi. Meadows ci ha messo anni...

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    1. Avevo letto la tua opinione Dae, ma poi non ho avuto tempo per commentare ;). Ad ogni modo concordo con te sul fatto che si calca molto la mano sull'estetica, ma d'altronde con un contenuto del genere (un malato di sesso... non proprio l'originalità assoluta) non si poteva che lavorare sulla forma. E lo dico: probabilmente se non ci fosse stato quel pre-finale Shame sarebbe stato da sufficienza e niente più a causa, appunto, dell'aria patinata che tira.

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  10. è un film crudo, senza speranza, ma come si dice, e io sono d'accordo, "Hunger" batte "Shame" 2 a 1.
    come direbbe Caparezza, il secondo film è sempre il più difficile:)

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  11. Devo dire che questa è una delle recensioni migliori che abbia letto. a me il film non è piaciuto e spesso leggevo recensioni che dicevano esattamente il contrario di quanto pensassi. Qui per la prima volta leggo semplicemente cose diverse e punti di vista che capisco, anche se il mioo giudizio rimane negativo!

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  12. Ti ringrazio per l'apprezzamento, come mai a te non è piaciuto?

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  13. i vuoti, si sentono i vuoti. dall'alto le grandi finestre sul nulla dei palazzi, le strade piene di nessuno, la metro di gente che va, l'ufficio di vetri e trasparenze che non mostrano, i locali così belli da essere anonimi, si sente, il vuoto, riempito solo dalla abbraccio rabbioso fra i due fratelli, nel bianco della cucina troppo luminosa, sotto un cappello rosso sul baratro dei binari, sul divano davanti a cartoni animati fuori fuoco e senza parole, l'abbraccio di sangue e abbandono .
    si sente che manca il respiro quando il sesso è oggetto, l'affetto è oggetto, la persona è oggetto.
    non è per me questione che mi piaccia o no questo film.. non so ma è che arriva, che funziona, che domanda. e domanda non con la filosofia, ma con un presenze che si fanno lontane, con la voce di sissy che esce contorta di dolore da una maschera perfetta, quasi immobile, di ieraticità senza vergogna.

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  14. cbp... torna presto, c'è bisogno di interventi come il tuo.

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  15. forse bergman avrebbe scelto questo tema perché esistenziale/contemporaneo/universale e forse bergman sarebbe sceso più a fondo trovando nuovo senso fino a farci provare il vuoto di cui parla cbp -non solo mostrarcelo-. ma pochi autori e pochi film hanno questa grande pazienza, tuttavia il tentativo di mcqueen è da elogio e il film tocca corde che pochi hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di toccare in questi anni di cinema. voto: 7,5

    serbadda

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  16. Concordo sul voto serbadda. Mentre sulle riflessioni bergmaniane non metto becco perché non conosco bene l'autore.
    Comunque, aggiungerei alla tua frase "...il coraggio e la lungimiranza di toccare in questi anni di cinema" ... mainstream, perché qui parliamo di una produzione importante, mica di un film lettone senza dialoghi!

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  17. non ricordo film lettoni senza dialoghi che trattano questo tema. :)
    vale a dire... se ne conosci qualcuno anche vietnamita puoi segnarcelo?

    bergman credo, poi forse è solo una mia convinzione, ha avuto il merito di raccontare il male del suo tempo... è stato un regista molto... "esistenzialista" in toto e in relazione al suo tempo. ecco.

    serbadda

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  18. Ti dirò, il taiwanese Tsai Ming-liang ha da sempre affrontato nei suoi film il tema della sessualità, spesso repressa, sofferta, consumata, negata, sognata.
    Ma a parte queste citazioni snob-cinefile fatte per gonfiare il mio cine-ego, si tratta pur sempre di cinema d'autore e non da robe che si possono tranquillamente vedere nel cinema della propria città.

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