La storia di tre sorelle e dei loro problemi nella vita.
Netto passo indietro che arriva 365 giorni dopo The Masseur (2005) per Brillante Mendoza.
Tanto era tetro accattivante ed anche originale (a livello di plot) l’esordio, quanto è fiacco, stucchevole e farraginoso questo Kaleldo.
Al di là di una tenue continuità argomentativa che può considerarsi l’unico vero pregio, parliamo di nuovo di un padre, di matrimoni e relativi funerali, il film delude su più fronti, praticamente tutti.
La magagna maggiormente evidente è lo sjuzhet della narrazione che manca di corporeità. Le vicende delle tre sorelle, infatti, paiono essere divise da muri invalicabili, nulla viene fatto per dare fluidità, concatenazione, potrebbero tranquillamente essere storie a se stanti, e il presunto collante della figura paterna non convince data la debole presa generale.
Per di più i fatti rappresentati non hanno niente da invidiare alla drammaticità (?) delle soap-opera: la prima sorella che non accetta il matrimonio combinato, la seconda che tradisce il marito, la terza che ama un’altra donna. Yawwn.
La povertà di idee è preoccupante, ed anche se si segue il principio del “non importa cosa ma importa il come”, ugualmente la regia non si evidenzia per trovate sconvolgenti.
Scandito da capitoletti che portano il nome degli elementi naturali, il film rimane intrappolato nei suoi stessi limiti economici dimostrando gravi lacune sul piano tecnico.
L’atmosfera malsana di Masahista sembra un ricordo lontano perché a parte la fotografia tremendamente banale che regna incontrastata, si riesce a fare peggio nelle scene più buie (tipo quelle nel letto) dove ad un cambio inquadratura muta completamente la veste cromatica dell’immagine, il che non è piacevole per lo spettatore che può toccare con occhio una mancanza di professionalità.
Le cadute di uno stile latitante sono molte, mi sento di citare un pezzo di carne usato come oggetto contundente e una parentesi folkloristica di gente che si autoflagella in strada messa lì giusto per riempire un buco.
In generale mi viene da accostare quest’opera ad un altro film filippino denominato Scorpio Nights (1985), e tale associazione non è proprio lusinghiera.
Lasciatemelo dire: un Mendoza ben poco brillante.
Netto passo indietro che arriva 365 giorni dopo The Masseur (2005) per Brillante Mendoza.
Tanto era tetro accattivante ed anche originale (a livello di plot) l’esordio, quanto è fiacco, stucchevole e farraginoso questo Kaleldo.
Al di là di una tenue continuità argomentativa che può considerarsi l’unico vero pregio, parliamo di nuovo di un padre, di matrimoni e relativi funerali, il film delude su più fronti, praticamente tutti.
La magagna maggiormente evidente è lo sjuzhet della narrazione che manca di corporeità. Le vicende delle tre sorelle, infatti, paiono essere divise da muri invalicabili, nulla viene fatto per dare fluidità, concatenazione, potrebbero tranquillamente essere storie a se stanti, e il presunto collante della figura paterna non convince data la debole presa generale.
Per di più i fatti rappresentati non hanno niente da invidiare alla drammaticità (?) delle soap-opera: la prima sorella che non accetta il matrimonio combinato, la seconda che tradisce il marito, la terza che ama un’altra donna. Yawwn.
La povertà di idee è preoccupante, ed anche se si segue il principio del “non importa cosa ma importa il come”, ugualmente la regia non si evidenzia per trovate sconvolgenti.
Scandito da capitoletti che portano il nome degli elementi naturali, il film rimane intrappolato nei suoi stessi limiti economici dimostrando gravi lacune sul piano tecnico.
L’atmosfera malsana di Masahista sembra un ricordo lontano perché a parte la fotografia tremendamente banale che regna incontrastata, si riesce a fare peggio nelle scene più buie (tipo quelle nel letto) dove ad un cambio inquadratura muta completamente la veste cromatica dell’immagine, il che non è piacevole per lo spettatore che può toccare con occhio una mancanza di professionalità.
Le cadute di uno stile latitante sono molte, mi sento di citare un pezzo di carne usato come oggetto contundente e una parentesi folkloristica di gente che si autoflagella in strada messa lì giusto per riempire un buco.
In generale mi viene da accostare quest’opera ad un altro film filippino denominato Scorpio Nights (1985), e tale associazione non è proprio lusinghiera.
Lasciatemelo dire: un Mendoza ben poco brillante.
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