La delineazione della non-personalità di Bubby è quanto mai racchiusa negli ottimi 30 minuti iniziali in cui si è spettatori di un aberrante quadretto famigliare nel quale la giunonica madre dalle tette felliniane sottomette il figlio novello Kaspar Hauser in senso figurato e non – essa esercita un potere su di lui tramite il crocefisso che di fronte a tanta miseria è piccolo piccolo, ed allo stesso tempo nei rapporti incestuosi è sempre sopra sovrastandolo –, arrivando ad essere una presenza angosciante à la Bigas Luna che assoggetta totalmente Bubby al punto che egli non parla se non per ripetere le stesse parole che capta come se fosse un pappagallo. Il regista Rolf de Heer si presenta in questa mezz’ora come un piccolo Lanthimos di Dogtooth (2009), e inoltre fotografa allucinatamente l’appartamento riempiendo di assoluto silenzio la deformante educazione di Bubby.
Ma le cose belle qui iniziano e qui finiscono perché una volta che il protagonista fugge dalla casa-prigione il film crolla drasticamente in un discorso sterile. Dell’aria malsana nell’incipit non rimane niente (Wikipedia dice che durante la lavorazione si sono avvicendati 32 direttori della fotografia differenti!), anzi, visivamente la pellicola si assesta su territori strabattuti adagiandosi sulla banalità.
La scrittura della storia si svincola da qualunque struttura e mette Bubby in balia di alcune disavventure di una noia indicibile. A poco servono i costanti rimandi religiosi che appaiono ogni tanto come fantasmi, al pari dei tentativi sbilenchi di suscitare una pietà spettatoriale con le morti dei gattini, troppo facile così, o riprendendo persone diversamente abili, così è veramente troppo facile. Scontata poi la scelta di applicare l’usurato complesso edipico alla situazione rappresentata, in fondo che Bubby preferisca seni grandi a quelli piccoli non ci interessa granché.
L’australiano Rolf de Heer, autore eclettico e premiato nel corso degli anni in importanti kermesse, avrebbe dovuto troncare l’opera nel momento in cui il suo protagonista mette piede fuori dalla casa; l’ora abbondante che rimane si trasforma in una favoletta stile Disney con tanto di finale idilliaco a cui non basta qualche nudo e una spruzzata di blasfemia per risultare seriamente cattivo.
Ma le cose belle qui iniziano e qui finiscono perché una volta che il protagonista fugge dalla casa-prigione il film crolla drasticamente in un discorso sterile. Dell’aria malsana nell’incipit non rimane niente (Wikipedia dice che durante la lavorazione si sono avvicendati 32 direttori della fotografia differenti!), anzi, visivamente la pellicola si assesta su territori strabattuti adagiandosi sulla banalità.
La scrittura della storia si svincola da qualunque struttura e mette Bubby in balia di alcune disavventure di una noia indicibile. A poco servono i costanti rimandi religiosi che appaiono ogni tanto come fantasmi, al pari dei tentativi sbilenchi di suscitare una pietà spettatoriale con le morti dei gattini, troppo facile così, o riprendendo persone diversamente abili, così è veramente troppo facile. Scontata poi la scelta di applicare l’usurato complesso edipico alla situazione rappresentata, in fondo che Bubby preferisca seni grandi a quelli piccoli non ci interessa granché.
L’australiano Rolf de Heer, autore eclettico e premiato nel corso degli anni in importanti kermesse, avrebbe dovuto troncare l’opera nel momento in cui il suo protagonista mette piede fuori dalla casa; l’ora abbondante che rimane si trasforma in una favoletta stile Disney con tanto di finale idilliaco a cui non basta qualche nudo e una spruzzata di blasfemia per risultare seriamente cattivo.
Un'opera discontinua ed assolutamente imperfetta, come tutta l'opera di De Heer.
RispondiEliminaConcordo in pieno, Eraser.
concordo anche io..occasione sprecata...
RispondiEliminanon mi è piaciuto per niente.
RispondiEliminapurtroppo il discorso che introduce- come sottolinei giustamente tu- nei primi minuti viene disfatto con banalità e pochezza.
de Heer, secondo me, è un po' troppo sopravvalutato; uno che vorrebbe essere cattivo, come dici te, in maniera troppo programmatica. un fuoco fatuo.
però la parte iniziale è di una potenza non comune e, forse, per questo poi si resta delusi.
RispondiEliminacomplessivamente è un buon film, se la grandezza della prima parte fosse stata dopo, il giudizio complessivo sarebbe migliore.
la regola "cambiando l'ordine degli addendi la somma non cambia" al cinema, purptroppo per Rolf de Heer, non funziona.
Non credevo che fosse così conosciuto Rolf de Heer! Che dire, dopo questo film ho visto Alexandra's Project e 10 Canoe, poi mi sono fermato. Diciamo che non è adatto a questo blog che cerca di sondare un altro tipo di cinema.
RispondiEliminavisto tanti anni fa, quand'era uscito: il mio giudizio era all'opposto del tuo, se non ricordo male...
RispondiElimina:-)
Io lo avevo letto come un remake del Frankenstein di Mary Shelley, e se hai letto il libro (non i film di James Whale) penso che ti troverai d'accordo
Non saprei Giuliano, un po' perché non ho letto un libro e un po' perché io di Frankenstein non ci ho visto niente :)
RispondiElimina...la "creazione", la vita "innocente" all'inizio, e poi in giro per il mondo: Frankenstein, con quel tanto di mostruoso.
RispondiElimina:-)
Era bello e strano "La stanza di Chloe", sempre di de Heer.
Ehm... ehehe, in effetti "qualcosina" ci potrebbe anche stare di Frankenstein a ben vedere :p, bel suggerimento, grazie! (anche per La stanza di Chloe)
RispondiElimina112 minuti geniali, non perfetti ma geniali
RispondiEliminaA me è piaciuto una cifra! l'ho trovato molto vario e non mi sono mai annoiato, anzi, ne avrei visto volentieri ancora, alcune scene poi sono state troppo divertenti, tipo quando Bubby prende il microfono ed i nizia a "cantare"... Avercene di film come questo... :-))
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