Un assassino seriale uccide a caso alle sei in punto di ogni lunedì pomeriggio tramite un’iniezione letale nei pressi dell’affollata metropolitana.
La polizia di Tokyo si mette sulle sue tracce.
La spavalderia di un killer che va a colpire indisturbato laddove può essere potenzialmente visto da centinaia di persone ma che paradossalmente viene protetto proprio dall’anonima massa, è un bell’affronto alle autorità che però abbiamo già visto in ambito cinematografico. E appare lontano dall’originalità anche il fatto che per dipanare l’intricata matassa venga chiamata in causa una persona esterna al team operativo dalle non definite competenze (psicologa, psichiatra, criminologa?) meglio se donna, evidentemente Il silenzio degli innocenti (1991) ha creato un vero e proprio work-profile con Jodie Foster, e puntuale il regista Sogo Ishii introduce il personaggio di Setsuko Suma nei panni di affermata investigatrice che avrà un ruolo intrinseco alla storia cucita su misura addosso a lei.
Le premesse non hanno in sé particolari innovazioni nonostante, è bene ricordarlo, Angel Dust sia un film del ’94. Lo sviluppo della vicenda si discosta dal think big americano che spesso dà risalto alle gesta dell’assassino, per inoltrarsi maggiormente nei risvolti personali dei protagonisti intrecciati tra loro più di quanto si possa pensare. A prescindere dalla validità o meno dell’operazione che sulla carta poteva essere interessante, nella pratica lo è molto meno.
Si tratta più che altro di una scelta narrativa che taglia le gambe al ritmo dilatando di molto e di troppo il raccontato. Ishii sembra propendere per lunghe sequenze d’anestetizzata atmosfera orientale, intervallate da rapidi fotogrammi che aggrediscono lo schermo. Ne risulta complessivamente che la curiosità per sapere chi sia l’assassino cala a picco ben prima della fine a causa del decentramento d’attenzione sul killer in favore delle implicazioni tra eroina e villain che sono sì soggiacenti all’indagine ma che non ne catturano l’interesse a causa, fra le altre cose, di personaggi anonimi senza appeal.
Lasciate perdere il disclaimer sulla locandina perché si sa di come la pubblicità sia l’anima del commercio, tuttavia prendete le mie parole come una semplice opinione, in giro questo film è piaciuto a molti.
La polizia di Tokyo si mette sulle sue tracce.
La spavalderia di un killer che va a colpire indisturbato laddove può essere potenzialmente visto da centinaia di persone ma che paradossalmente viene protetto proprio dall’anonima massa, è un bell’affronto alle autorità che però abbiamo già visto in ambito cinematografico. E appare lontano dall’originalità anche il fatto che per dipanare l’intricata matassa venga chiamata in causa una persona esterna al team operativo dalle non definite competenze (psicologa, psichiatra, criminologa?) meglio se donna, evidentemente Il silenzio degli innocenti (1991) ha creato un vero e proprio work-profile con Jodie Foster, e puntuale il regista Sogo Ishii introduce il personaggio di Setsuko Suma nei panni di affermata investigatrice che avrà un ruolo intrinseco alla storia cucita su misura addosso a lei.
Le premesse non hanno in sé particolari innovazioni nonostante, è bene ricordarlo, Angel Dust sia un film del ’94. Lo sviluppo della vicenda si discosta dal think big americano che spesso dà risalto alle gesta dell’assassino, per inoltrarsi maggiormente nei risvolti personali dei protagonisti intrecciati tra loro più di quanto si possa pensare. A prescindere dalla validità o meno dell’operazione che sulla carta poteva essere interessante, nella pratica lo è molto meno.
Si tratta più che altro di una scelta narrativa che taglia le gambe al ritmo dilatando di molto e di troppo il raccontato. Ishii sembra propendere per lunghe sequenze d’anestetizzata atmosfera orientale, intervallate da rapidi fotogrammi che aggrediscono lo schermo. Ne risulta complessivamente che la curiosità per sapere chi sia l’assassino cala a picco ben prima della fine a causa del decentramento d’attenzione sul killer in favore delle implicazioni tra eroina e villain che sono sì soggiacenti all’indagine ma che non ne catturano l’interesse a causa, fra le altre cose, di personaggi anonimi senza appeal.
Lasciate perdere il disclaimer sulla locandina perché si sa di come la pubblicità sia l’anima del commercio, tuttavia prendete le mie parole come una semplice opinione, in giro questo film è piaciuto a molti.
Lo ricordo di una noia mortale (e se lo dico io che amo i film orientali e lenti...) ^^
RispondiEliminaMi sa che lo ricordi bene allora :)
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